Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena

Gli autografi di Lucrezia

Il denso dialogo epistolare intercorso tra Lucrezia ed Ercole I durante le complesse trattative per le nozze con Alfonso d’Este (1501), si sviluppa attraverso il frequente ricorso, da parte di Lucrezia, alla scrittura de manu propria. Si tratta di una scelta consapevole e voluta, carica di significati: l’autografia è da sempre mezzo per garantire l’autenticità di uno scritto, ma al tempo stesso si fa in Lucrezia atto mirato e a suo modo politico, dettato dalla precisa volontà di dimostrare la propria capacità di maneggiare con disinvoltura uno strumento essenziale, e tradizionalmente maschile, di governo e amministrazione.

È insomma veicolo ulteriore di legittimazione al ruolo di futura ducissa dello stato estense, per Lucrezia: una donna che si rivela colta e abile, in grado di condurre attivamente e in prima persona il sottile gioco di mediazione diplomatica - che passa anche per lettera - tra il papa e il duca nella questione dell’estensione dell’investitura del ducato di Ferrara ai futuri eredi di Alfonso e Lucrezia (doc. 23). Ma l’autografia può farsi anche segno di partecipazione e di coinvolgimento più personale, servire a istituire un legame più diretto e confidenziale con il proprio interlocutore, il duca d’Este, all’interno di una più ampia strategia politico-dinastica (doc. 22).

La scrittura di Lucrezia è una minuscola disadorna ed essenziale, per quanto esperta, rapida e per nulla incline a calligrafismi, contraddistinta da un tracciato alquanto nervoso e disarmonico. L’irregolarità grafica sarebbe dovuta ad un dolore cronico al braccio e ai problemi di salute che l’avrebbero accompagnata a lungo, causandole difficoltà nei tracciati arrotondati e corsivi. Una scrittura non professionale, insomma, ma funzionale alla comunicazione diplomatica e cancelleresca.

 

 

Nelle lettere indirizzate da Lucrezia ad Ercole I tra il 1501 e il 1503 la scrittura autografa diviene assai frequente, mentre più rara si fa la mediazione cancelleresca. Il ricorso all’autografia è sapientemente calibrato e risponde a funzioni diverse. Talvolta, infatti, Lucrezia redige la lettera integralmente de manu propria, come accade spesso nelle epistole ‘romane’, nelle quali la Borgia dà conto ad Ercole I dell’abile tessitura diplomatica da lei stessa ordita per soddisfare le numerose pretese prematrimoniali avanzate dagli Este: è il caso, ad esempio, di una lettera del 18 ottobre 1501 (doc. 24) il cui dettato è tutto teso a sottolineare la piena sintonia di interessi e sentimenti tra lei, il padre Alessandro VI e il fratello Cesare e a dare poi fattiva dimostrazione del proprio ascendente sul papa portando felicemente a termine l’affaire del trasferimento di suor Lucia da Viterbo a Ferrara, tanto voluto da Ercole. Talaltra la redazione integralmente autografa serve a stabilire un rapporto più diretto e personale con l’interlocutore e l’occasione può allora essere fornita da un semplice invio di prelibatezze (doc. 25). In altri casi, ancora, il ricorso all’autografia è limitato alla sola sottoscrizione finale («obedientissima figliola e servitrice, Lucretia Estense de Borgia o Lucretia d’Este de Borgia») ed è determinato soprattutto dalla necessità di garantire l’autenticità delle missive o di soddisfare il debito di scrittura vivo all’interno della famiglia. È quanto avviene in una lettera del 13 luglio 1502 (cfr. lettera 26), redatta per il resto dal segretario di Lucrezia, Cristoforo Piccinini, con la quale la futura duchessa si felicita per la notizia dell’arrivo di Ercole a Piacenza e si scusa per il ritardo con cui gli ha comunicato la propria indisposizione.

Maddalena Modesti