Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena

Maria Bellonci

Maria Bellonci, diretta anche dagli stimoli di Giulio Bertoni che già nel 1931 l’aveva avviata allo studio delle carte archivistiche per l’inventario dei gioielli di Lucrezia, si accostò per il suo celebre romanzo (Lucrezia Borgia, 1939) alla realtà documentaria delle carte conservate presso d'Archivio modenese, da cui scaturì la straordinaria capacità visionaria della sua penna, suscitata dalle lettere conservate qui (e altrove) che si animavano a dare vita, respiro, corpo, all’invisibile, all’inconoscibile, ai silenzi della storia. Durante queste esplorazioni la scrittrice ebbe modo di correggere anche errori di importanti lavori storiografici, come quello di Ferdinand Gregorovius (Lucrezia Borgia. Secondo documenti e carteggi del tempo, 1878), che pur tanto aveva contribuito a ricondurre la narrazione all’ambito del rigore documentario, e del cui lavoro sulle carte di questo Archivio si presentano qui le testimonianze.

Per la prima volta si presentano le lettere che la Bellonci scrisse all’allora direttore Alfredo Braghiroli, dal 1932 reggente dell’Archivio, dove era entrato nel 1916, antifascista, arrestato dalla Brigata nera e ucciso per rappresaglia il 7 agosto 1944 sul sagrato della chiesa di Rovereto di Novi, degnamente ricordato dalla bella lapide che si fa incontro al visitatore sull’imponente scalinata di marmo dell’Archivio di Stato di Modena. Su richiesta della scrittrice, il direttore dell’Archivio faceva eseguire, naturalmente dietro compenso, la trascrizione dei documenti, e offriva la propria competenza di studioso nella non sempre semplice trascrizione e comprensione delle carte, come si evince dalla documentazione in mostra. Alla memoria dell’incontro con questa straordinaria figura, la Bellonci dedicherà uno struggente racconto, L’archivista, incluso nella raccolta Segni sul muro. Nella scrittura felicissima della Bellonci si ha come l’impressione che si cerchino nei documenti le prove di una realtà già precostruita nell’idea romanzesca, con sguardo orientato e selettivo, non sempre attento alla completezza o all’organicità della documentazione, da cui spesso emergono cifre enigmatiche, orchestrate in modo complesso, che scrivono il romanzo non meno sorprendente della storia, in cui è il documento, e solo quello, a fungere da narratore onnisciente.

Loredana Chines

 

Nel registro di Sala Studio del 1933 troviamo la firma Maria Villavecchia Bellonci: con il cognome da nubile Villavecchia e Bellonci quello da coniugata. Accanto vi è il nome del marito Goffredo Bellonci, critico letterario, che probabilmente accompagnava la scrittrice nelle sue peregrinazioni archivistiche. Da notare nella stessa pagina, anche la firma di un altro prestigioso nome, il filologo e letterato di origini modenesi Giulio Bertoni. Ancora, nella domanda di Sala studio di Maria Bellonci del 1934 seguiamo il filo dei suoi studi su Lucrezia.

Margherita Lanzetta