Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena
Il mito di Lucrezia
La tradizione a stampa delle lettere di Lucrezia è un rivolo che scorre dal Settecento e prosegue, con alterne ma modeste fortune, sino al Novecento e oltre, quando, in particolare con l’edizione di Giulia Raboni e gli studi di Gabriella Zarri e ora con l’edizione critica di Diane Ghirardo, si è affrontato in modo sistematico il tema, forse più storico e archivistico che letterario, di Lucrezia scrittrice.
Trascorrono infatti più di duecento anni dalla morte della donna prima che alcune sue lettere diventino pubbliche: e la scoperta muove dall’archivio della Biblioteca Ambrosiana di Milano, per opera di Baldassarre Oltrocchi, che nel 1758 poté giovarsi del ms. S.P. II 100, custode di una parte delle lettere di Lucrezia a Bembo. Sono appunto le ambrosiane – con le poche testimonianze dell’amore fra i due – le lettere destinate alla successiva attenzione della stampa: senza finalità paradigmatiche, rispondono a un gusto romanzesco che presto comincia infatti ad aleggiare attorno alla donna. Su un’indagine di tipo storico e filologico - appena avviata nel corso del Settecento – prevale ora la tensione drammatica del primo Ottocento, che poco guarda ai documenti e dà viceversa maggiore spazio alla narrazione. È il momento della rilettura ‘noir’ di Victor Hugo prima e di Donizetti e Felice Romano poi, cui fa da corollario una fluente produzione musicale dedicata all’eroina della corte estense. L’idea di restituire storicità a Lucrezia Borgia, superando il ritratto letterario (e musicale) in voga nel primo Ottocento «della Lucrezia sanguinaria», prende piede solo nella seconda metà del XIX secolo, quando cioè inizia ad affermarsi anche in Italia il nuovo indirizzo della critica: positivo e scientifico, volto all’ ‘accertamento del fatto’ e alla ‘ricostruzione oggettivamente documentata del quadro storico’. Torna quindi l’attenzione per le carte lucreziane, in primo luogo (e ancora una volta) per quelle custodite all’Ambrosiana, nell’opera di Bernardo Gatti, che pubblica nel 1859 le nove lettere di Lucrezia a Bembo, nel pieno rispetto dei testi originali. Da questo momento è quasi un imperativo editoriale restaurare un’immagine, eliminare una taccia, restituire a Lucrezia la sua parola originale, a partire dal giudizio, ora ampiamente condiviso, di una Lucrezia ‘vittima della storia’. Ed è questo il risultato cui approdano via via le ricerche d’archivio, con la riscoperta e la divulgazione di documenti inediti, in vista di un’auspicata verità biografica e critica. Fra gli altri è da ricordare l’opera del tedesco Ferdinand Gregorovius, che appunto sui documenti e carteggi del tempo, per lo più reperiti fra Mantova e Modena, fonda la sua nuova rappresentazione ‘scientificamente’ depurata, di Lucrezia Borgia. Se il testo delle lettere ha poco da guadagnare dalle diverse stampe parziali che si susseguono tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, va pur detto che la figura di Lucrezia ne riceve in filigrana una sfaccettatura sempre più articolata. È in fondo anche il merito della biografia-romanzo di Maria Bellonci nel 1939, che pubblica numerosi frammenti delle epistole di Lucrezia, volti a fornire più o meno forzatamente conferma alla sua ricostruzione storico-critica: scarso il vantaggio editoriale, ma decisivo l’arricchimento del ritratto complessivo che può aver condotto gli studiosi verso le riscoperte testuali contemporanee.
Francesca Florimbii