Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena

Il rapporto con Pietro Bembo

Lucrezia e Pietro Bembo: il che è sì vero, che nessuna altra verità conosco più vera di questa

Andar per lettere, studiare gli epistolari, è una delle prospettive di ricerca più promettenti del mestiere del letterato. Non solo addestra a una curiosità ripagata da notizie e documenti, ma avvia all’esperienza minuziosa di eventi realmente accaduti: mette insomma in contatto storico con un passato che a volte assomiglia moltissimo al nostro presente e che perciò ci trasporta.

Non è quindi un romanzo il sentimento che lega fra il 1502 e il 1503 la fresca sposa di Alfonso d’Este, la giovane ma già plurimaritata Lucrezia Borgia, e il brillante letterato e politico veneziano Pietro Bembo: ma è un frammento di vita e di storia che le lettere dei due protagonisti hanno tramandato sino a noi. Poco si può capire, da queste lettere, del reale coinvolgimento amoroso della coppia: se cioè sia stato amor platonico (mai espressione, del resto, fu più adatta a rappresentare una passione coltivata all’insegna di Petrarca e della letteratura a lui ispirata, soprattutto i raffinatissimi Asolani di Pietro, pubblicati nel 1505 e dedicati appunto a Lucrezia) o che anche attrazione dei sensi.

Vero è che le epistole scambiate fra Lucrezia e Bembo (quaranta di Pietro, nove della donna), un carteggio non fittissimo ma di notevole caratura umana e letteraria- né del resto il veneziano era estraneo a una pratica epistolare densa di effusioni sentimentali e di memorie poetiche – lasciano a volte trasparire più di quanto venga effettivamente detto dai due corrispondenti. Nelle più anche, quelle che vengono appunto riferite al tempo della condivisione degli affetti, Pietro esprime la sua venerazione alla dama, non ancora duchessa; Lucrezia, di certo lusingata se non catturata, cede al gioco cortigiano e confessa forse più del dovuto. Ma il «Magnifico Messer Pietro Bembo» e Lucrezia diventata duchessa (dal 1504) continuarono almeno sino al 1517 a scambiarsi carte nelle quali non mancò mai, pur con tutte le cautele e le reverenze del caso, un’eco dell’antica confidenza. Non c’è da meravigliarsi che questo piccolo ma mirabile carteggio – forse un unicum nel grande affresco dei carteggi del Cinquecento – sia diventato materia e fonte di ispirazione per l’affascinante biografia di Lucrezia scritta da Maria Bellonci. Ma la storia non è un romanzo, e confonderla con la narrazione può essere, per Lucrezia e Pietro, un’inutile mistificazione, così potente è, anche per noi moderni, il senso di immediatezza e di verità che queste lettere trasmettono. Perché, con le parole di Bembo, «più grande è, alle volte, la fiamma di quello amore il quale non può, quando e’ vuole, dimostrarsi, che di quello non è che a suo piacere ne fa segno» (lettera di Pietro Bembo del 18 ottobre 1503, n. 173).

Le lettere di questo carteggio sono conservate presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, la British Library di Londra, la Bibliothèque Nationale de France di Parigi e nella stampa Scotto, Venezia, 1552.

 

 

Sono quarantanove le lettere scambiate fra Pietro Bembo e Lucrezia Borgia. Le più suggestive appartengono a quel carteggio ‘d’amore’ che, pur con molte cautele, intercorre fra Pietro e Lucrezia negli anni 1503-1504: a volte in incerta sintassi lei, con qualche tratto del suo volgare romano; in forbitissima lingua cortigiana lui, con molte concessioni al sentimento ma anche alle formule del corteggiamento letterario. Da queste lettere - documenti storici, non narrazione - che i due, con molte prudenze, si scambiarono, si intuisce che una grande fiamma li avvince, e crea simboli e immagini indimenticabili. Da una missiva di Lucrezia a Bembo, del giugno 1503: Miser pietro mio, circha el desiderio tenite intender da me lo incontro del vostro o nostro cristallo, che cusì meritamente se pò reputar e chiamare, non saperìa mai che altro posserne dire o trovarçe salvo una estrema conformità, forsi mai per nisun tempo igualata. e questo basti, e risti per evangelio perpetuo. questo da qui avante serrà el mio nome: ff.

Il cristallo è il cuore di entrambi, da cui traspaiono la verità e la purezza del sentimento reciproco; la sigla, o cifra, FF, ancora oggi misteriosa, è quella in cui Lucrezia, per salvaguardare la segretezza, a volte sdoppia nel carteggio se stessa. E che il legame stesse diventando rischioso è dimostrato dalla repentina, se non brusca interruzione del rapporto, perché non è ammissibile a corte che la futura duchessa sia coinvolta da una così ardente fiamma. L’addio è forse suggellato da una manieristica lettera di Pietro all’amata, con immancabile citazione petrarchesca (n. 177):

«Io parto, o dolcissima mia vita, e pure non parto né partirò mai. Se allo ’ncontro voi, rimanendo non rimarrete, non voglio dire di voi, ma certo O me felice sopra gli altri amanti.»

Terminata la stagione degli amori e pienamente promossa al ruolo di duchessa di Ferrara e di madre della futura progenie Estense, Lucrezia e Pietro non danno seguito a questo carteggio 'segreto': resta un chiarore lontano della «grande fiamma» che aveva unito i due corrispondenti, e, da parte di Pietro, quasi un tono di galanteria da «amico di famiglia» (Giulia Raboni). I rallegramenti per la nascita dell’erede maschio della casata (Ercole II, lettera di Bembo a Lucrezia del 10 maggio 1508, n. 278); le nuove felicitazioni per un’altra nascita (di Ippolito II, lettera del 5 settembre 1509, n. 287); ma anche, meno formalmente, baci ai teneretti figli di lei, o la supplica di ricevere dalla donna un poco di carta dallei scritta, e i ringraziamenti per quella già inviata che contiene versi di sua mano: Bascio la mano a V. Ecc. de li quattro versi di sua mano (lettera del 18 dicembre 1515, n. 365). Ma colpisce, al di là delle formule di servitù e di rispetto di Bembo, una certa sua confidenza affettuosa, confermata dagli indirizzi dei due corrispondenti (Magnifico). Pietro è stato appena nominato segretario papale, e scrive per l’occasione una missiva a Lucrezia (11 maggio 1513, n. 328). La lettera ha un tono quasi privato, nonostante l’ufficialità del contenuto e degli appellativi rivolti all’illustre Signora, e i saluti finali lasciano trasparire una spontaneità inaspettata, quasi un riflesso di passate tenerezze:

«Rendole oltre a ciò molte grazie del piacere che ella ha mostrato sentire del luogo datomi da N.S. [il papa Leone X] il quale nondimeno m’è stato gratissimo. V.S. tuttavolta si renda certa che non questo luogo, ma tutti gli altri, per alti e illustri che siano […] non mi trarranno o devieranno un passo della antica servitù che ho con V.S., a me più cara e preziosa che ogni Regno. Bacio a V.S. la mano, e nella sua buona grazie senza fine mi raccomando.»

E ancora in una lettera del 17 giugno 1513 (n. 329), Pietro Bembo testimonia, con un vocabolo prezioso (dedicazione), il dono di tutto se stesso e del proprio animo all’antica amata. È un giuramento di fedeltà suggellato dalla solenne formula finale:

«E così vivo certissimamente sperando che V.S. creda che nessuna qualità di fortuna, quanto si voglia felice eprospera, che venire mi potesse sopra tutte le umane grandezze, sia bastante a levarmi dell’animo le ferma e salda ostinata dedicazion sua, fatta molti anni or sono, a V.S. Il che è sì vero, che nessuna altra verità conosco più vera di questa.»

Paola Vecchi Galli