Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena

Lucrezia e il teatro

 

La lettera di Ruzante ad Alfonso I d’Este (doc. 42) in cui il grande attore e autore padovano comunica al duca che, per una sua prossima recita ferrarese, collaborerà alle scene Ludovico Ariosto, testimonia la grande vitalità teatrale della città estense durante i primi decenni del Rinascimento. 

Tale vitalità era stata sollecitata dal padre di Alfonso, Ercole I, che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo (Ercole muore nel 1505) si fece promotore instancabile di volgarizzamenti di testi soprattutto plautini e delle relative messinscene. Questo vero e proprio “movimento” teatrale ebbe il suo apice nelle rappresentazioni allestite, tra il 3 e l’8 febbraio 1502, per le nozze di Lucrezia Borgia con Alfonso d’Este. Si tratta, come riportano le cronache di Bernardino Zambotti e di Niccolò Cagnolo da Parma, di ben cinque messinscene plautine: Epidico, Bacchidi, Il soldato glorioso, Asinaria e Casina. I testi dei volgarizzamenti erano quasi sempre in terzine, e dovevano perciò risultare abbastanza ostici sia agli attori (generalmente cortigiani prestati al teatro) sia al pubblico, come ci comunica una spettatrice d’eccezione, Isabella d’Este, figlia di Ercole e sorella di Alfonso. Isabella, educata dal padre al culto del teatro, riferisce puntualmente al marito Francesco Gonzaga, rimasto a Mantova, lo svolgimento delle giornate di festa e l’esito delle commedie, sulle quali non si dimostra, tranne che per l’Asinaria, troppo benevola.

Ciò che pare attrarla di più sono gli intermezzi danzati e coreografati tra un atto e l’altro, quegli stessi intermezzi su cui, non a caso, si dilungano i resoconti della cronaca di Zambotti (doc. 43), che segnala anche l’enorme spesa comportata dagli allestimenti.

Ma, di là dalla qualità dei testi, di cui poco ci è rimasto, o delle stesse messinscene, importa notare come il teatro sia, per la corte ferrarese, non solo uno strumento politico di manifestazione del potere, ma una vera e propria pratica di socializzazione nella quale la città si riconosce e attorno alla quale si compatta.

Nicola Bonazzi

 

 

«Eccellentissimo Signore. Havrei caro, quando piacesse a vostra eccellenza, sapere il giorno determinato per lei a doversi recitare, per potermi condurre a tempo lì con gli compagni et se V. E. se ne contentasse, mi piacerebbe ancora che il giorno da recitarla fosse prolungato più in ultimo che si può, perché se imparerà meglio et a molti di miei sarà gran commodo. […] Messere Lodovico Ariosto serà buono per far acconciare la scena. Aspetterò l’ordine di V. E., intanto reverente le baso l’altre mani. Dio sempre felice vi mantengi. Di Padova, a XXIII di gennaio del MDXXXII.

Di vostra illustrissima eccellenza

Indegno servitore Ruzantes»

Nicola Bonazzi