Lucretia Estensis de Borgia. Tra biografia e narrazione nelle carte dell'Archivio di Stato di Modena
Spezie, medici e commerci
Un solo documento, talvolta, può offrire dati e riferimenti complessi e molteplici, inerenti ambiti conoscitivi diversi, in un variegato intreccio di piani e personaggi. È il caso di una missiva inviata il 6 settembre del 1515 a Lucrezia Borgia da padre Nicolò de Tausignano o Tusignagno, ovvero da Tossignano (oggi Borgo Tossignano, comune nell’alta pianura bolognese, prossimo a Imola), guardiano del convento sul Monte Sion di Gerusalemme, il primitivo piccolo cenobio francescano eretto nel 1335 in prossimità e a custodia del S. Cenacolo. La lettera accompagnava l’invio di un prezioso nucleo di sostanze medicamentose provenienti dalle zone d’influenza francescana, l’area palestinese e la limitrofa penisola araba, e si apre con il ringraziamento per un dono, non ben specificato, destinato a padre Nicolò (ma poi, si legge, apprezzato da tutti i confratelli e quindi da intendersi come ricompensa per l’intero convento) e consegnatogli a Venezia, al momento in cui il priore era in partenza per rientrare a Gerusalemme. La missiva prosegue con la rassicurazione di aver ottemperato alla richiesta, di certo pressante della duchessa (imposizione diceva il frate), di far celebrare messe in tutti i sacri loci di Gerusalemme. Risulta evidente in ciò la convinzione, a lungo diffusa, nella forza testimoniale dei luoghi legati alla vita di Cristo, in grado cioè di aumentare la capacità di ottenere le grazie che stavano a cuore a Lucrezia e così sintetizzate nelle parole del francescano: la conservazione spirituale e temporale e corporale della famiglia ducale. Ogni ambito di vita dei suoi cari, dunque: dall’anima, alla condizione politico-istituzionale, fino alla salute del corpo. Su quest’ultimo aspetto verte poi la restante e più centrale parte della lettera: il custode Nicolò informava infatti che venivano recapitate varie sostanze farmacologiche, entro differenti contenitori di cui precisava caratteristiche e peso: una scatola di 7 once e mezzo11 (210 gr. circa), un cartoccio di 8 once e ¾ (252 gr. circa) ed un basselo (presumibilmente un piccolo vaso) di una libbra ed 8 once e mezzo (590 gr. circa). Il guardiano opportunamente specificava anche il nome del latore della preziosa consegna: mastro Giovanni Battista, medico di Pavia. Fra le sostanze recapitate alla duchessa, la più importante era costituita da 5 pezzi di terra sigillata, medicamento conosciuto da tempi antichi. Tale argilla era ottima, essendogli stata direttamente consegnata da un excellente medico di Damasco. Anzi, affinché Lucrezia potesse averne diretta e sicura garanzia, decise di allegare parte della lettera con cui questo stesso misterioso medico, cristiano di fede, avendo ricevuti i 5 pezzi d’argilla da un fidato amico, li aveva poi a sua volta regalati al frate, certo di soddisfarne la sua consueta ricerca di cossa bona et ellecta. Anche qui viene esplicitato il nome, per così dire, dello “spedizioniere”, si era trattato di un ebreo, Isacco, nipote del Malen de la Secha di quista terra (Damasco). Alla missiva è allegato un frammento del foglio scritto dall’anonimo medico attivo in Damasco: lo stile fluido ed elegante, lo sfoggio di un uso sapiente di abbreviature, sono indice della sua alta cultura e di sapienza retorica. Nel biglietto si trova una notizia interessante per la storia della farmacopea. Essendo comune convinzione che la Terra sigillata dovesse avere un colore intenso, per renderne più facile il commercio, informava il medico, era uso colorarla di rosso con un’altra argilla, il bolo armeno (peraltro anch’essa dotata di proprietà salutari). La terra destinata a Lucrezia non aveva subito contraffazioni, era pura e perciò di color chiaro; insomma, voleva sottintendere il medico, non andava tenuta in discredito a causa del suo colore poco incoraggiante. All’uso volgare sembra peraltro cedere frate Nicolò nel descrivere un altro pezzo di argilla medicamentosa che aggiunse al pacco da recapitare e che, avuta per altra via, definiva semplicemente de Rossa. Fin dall’età classica, con Galeno, le argille rare, ritenute di grandi capacità curative in relazione ai loro diversi luoghi d’origine, venivano prescritte per varie terapie, e continuarono ad esserlo ancora fino al XVIII/XIX secolo. Diverse per colore (rosse, gialle, bianche) in base alla composizione di ferro e manganese, venivano anticamente ridotte in forme rotonde e sigillate con un suggello per attestarne l’autenticità e la provenienza. Assai meno noto l’altro medicinale che l’anonimo medico di Damasco aveva donato a padre Nicolò: lo spodio de cana, vale a dire avorio o stinco d’elefante bruciato, uno dei farmaci più adulterati secondo il Corradi (A. Corradi, Le prime farmacopee italiane, Milano 1887). Nella scatola il custode Nicolò aveva inserito anche Cam abrusato, aggiungendo anche un basselo de Mitridato (del peso circa di 590 gr.) e un carthozo con altro Cam abrusato (252 gr. circa) proveniente dal Cairo. Il Mitridato era un elettuario costituito da moltissimi elementi che, spesso utilizzato assieme all’altrettanto compositissima e preziosa Teriaca, risolveva i più svariati problemi di salute. Più complesso identificare il Cam abrusato. Il secondo termine si può tradurre con facilità ‘bruciato’. La prima parola, tenendo conto del luogo d’origine in cui era stata reperita la sostanza (il Cairo), va forse intesa come una trasposizione da un termine egiziano: Kam (in copto Kmom), col senso di ‘nero’. In tal caso potrebbe trattarsi dell’asfalto o bitume giudaico o della Giudea, una sostanza con l’apparenza di pece nera e brillante, divenuta solida per l’evaporazione delle parti fluide (petrolio e altri oli essenziali) che proveniva dal Mar Morto e dall’Egitto ed era utilizzata in vari composti farmacologici, tra cui la panacea per eccellenza, la Teriaca. Il Campana (A. Campana, Farmacopea ferrarese, ediz. Firenze 1803, p. 16) ne indicava una specifica proprietà antisterica in suffumigio. Il farmaco però su cui maggiormente si era concentrata la richiesta di Lucrezia era il rabarbaro o, come scriveva fra’ Nicolò, Reubarbaro. Infatti, il priore francescano non solo si scusava di non poterne inviare, specificando di esserne sfornito a causa del mancato arrivo della carovana dalla Mecca, ma assicurava anche di riuscire ad averne al rientro dei due frati mandati al Cairo, anche per acquistarlo. Così avrebbe potuto soddisfare, come sempre con ogne diligentia e solicitudine, la duchessa. Da tempo antichissimo il suo rizoma, per l’alto contenuto di principi attivi, è utilizzato per ottenere preparati dotati di azione eupeptica, coleretica e lassativa. Il rabarbaro era un toccasana cui i medici della corte estense ricorrevano con fiducia. Lucrezia fu sottoposta ripetutamente a cure basate su questa essenza. I medici che l’assistettero nelle due prime, sfortunate gravidanze in terra estense (nel 1502 e nel 1505) ritennero il farmaco fondamentale per alleviarla dei gravi, dolorosi disturbi che, in particolare nella prima gravidanza, fecero temere per la sua vita. Il medico Ludovico Carri, al capezzale di Lucrezia almeno dal 12 luglio 1502, giudicò fondamentale contro il paroxismo delle febbri (ovvero l’acme, il momento di maggior gravità) la proprietà lassativa del rabarbaro.
«Ex.me et Potenti d.ne D. Lucretiae Borgie, estensi ferrariensi ducisse, d.ne semper observantissime. Ferraria. Ill.ma et Ex.ma D.na, cum commendando salutem vostre. Essendo in Venetie per venire in Jerusalem, hebbe il dono honorevole e suffitientissimo a me destinato da V. Ex.tia per il padre frate Francesco nostro da Cento, quale a me e tuti frati è stato molto grato, per il che rendemo a quella infinite actione de gratie. Jo ho facto celebrare le messe me impose v. ex.tia in tuti questi sacri loci, e non manchami continuare ordine per la conservatione spirituale e temporale e corporale de v. ex. e de lo Ill.mo Signore Ducha e figlioli. Item mando a v.ex.tia per uno medico de Pavia chiamato Magistro Johanne Baptista, una schatola che pexa oncze septe e mezo dove è dentro cinque pezi de terra sigillata quale me ha mandato uno medico ecellente da Damasco. Il quale me scrive essere optima e perfectissima, vi mando sua lettera atiò v.ex.tia veda il tuto. Ancho vi è dentro uno altro pezo de rossa quale ho havuto per una altra via. Ancho vi è dentro cam abrusato. Item mandovi uno basselo de mitridato pexa libre una, oncze octo e mecza. In uno carthozo de cam abrusato quale ho hauto dal Cayro, pexa onze octo e tre quarti. Non mando reubarbaro perché ancho non ne ho potuto havere. Ancho non è venuta la caravana da Lamecha. Al presente ho dui frati de nostri al Cayro a lo ritorno de quali spero haverno perché cio gli ho imposto e cusi satisfarò a vostra ex.tia, quale al presente me haverà excusato perché non sono manchato né mancho de ogni diligentia e solicitudine per satisfare a v.ex.tia a la bona gratia di la quale sempre me comendo. Ex sanctissimo Cenaculo Montis Syon, 6 septembris M°D°XV°. E ex.me d. affectissimus frater Nicolaus de Tausignano ordinis minorum observantis sacri Montis Syon Guardianus.»
Sigillo impresso a forma di mandorla, orlato da un cartiglio con la scritta Sigillum Guardiani Sacri Conventus Montis Sion. Nel margine superiore campeggia la croce di Terra Santa o croce di Gerusalemme (una croce greca potenziata di colore rosso su sfondo bianco cantonata da quattro croci più piccole). All’interno, separati da un tratto verticale, sono rappresentati due momenti propri del Cenacolo. In basso, l’Ultima Cena colta nell’iniziale momento della lavanda dei piedi, Gesù è al centro, in ginocchio proteso verso un apostolo seduto su una cattedra a destra. Su tutti la discesa dello Spirito Santo, nella consueta iconografia della colomba, sotto forma di lingue di fuoco su Maria e gli apostoli. Segue un allegato. Si tratta della parte iniziale di un biglietto (pertanto anonimo) inviato al mittente della suddetta lettera. Lo si desume dall’indirizzo leggibile sul verso del brandello, opportunamente incollato solo parzialmente alla lettera.
«R.do in Christo patri domino Nicolao de Tusignagno Or. Mi. Observantie, Guardiano Montis Syon meritissimo ac patri observantissimo. Jerusalem.
Observantissimus pater in risposta de le lettere havute da la p.v. mi congratulo assai de la pace et carità che si trova apresso tuti quelli padri cum grande sua consolatione spirituale et ringratio infinite volte la p. vostra de le orationi devotte che quella ha facto fare per mi donde semper li serò obligatissimo servitor et per dismonstrar qualche segno de la predicta obligatione mando per Ysach zudeo nevodo del Malen de la Secha di quista terra unce III de spodio de cana più ellecto esta possibile et peci cinque terra sigillata la qual di gratia ho havuto da uno fidato amico et ben che lo color non sia rosso segundo che comunamente se trova apresso al vulgo farsificata cum boloarmeno tamen da persone che hano optima cognition et pratica mi està affirmato questi cinque pezi esser de la optima et vera terra sigillata donde ho piacer haver trovato et mandar a vostra p. cossa bona et ellecta segundo el desiderio suo.»
Patrizia Cremonini