Dall’Alma Mater al mondo. Dante all’Università di Bologna
Introduzione
Dante all’Università di Bologna (a cura di Giuseppe Ledda)
Quello fra Dante e l’Università di Bologna è un rapporto stretto, profondo e antico, che ha le sue radici nella stessa biografia dantesca e poi nella primissima ricezione delle sue opere. Le tracce della presenza del poeta in città sono numerose e risalgono già alla prima attestazione di una sua opera, il sonetto della Garisenda, trascritto nel 1287 su una pagina dei Memoriali Bolognesi dal notaio Enrichetto delle Querce. È un testo che ci mostra un Dante giovanissimo in trasferta nella città dove molti fiorentini svolgevano attività di studio o di insegnamento presso l’Università oppure attività commerciali e finanziarie. Ma oltre che dal clima di alta cultura che si poteva respirare nella città universitaria, Dante poteva essere attirato a Bologna dalla grande tradizione di poesia in volgare di tema amoroso, che era stata brillantemente rinnovata da Guido Guinizzelli, e che vantava in città molti validi esponenti. La precoce accoglienza di un suo testo nei Memoriali mostra un giovane Dante già ben inserito e apprezzato nei raffinati circoli poetici bolognesi. E il debito nei confronti del magistero di Guinizzelli sarà ribadito ancora molti anni dopo, quando nel canto XXVI del Purgatorio sarà definito come «il padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d’amore usar dolci e leggiadre» (vv. 97-99).
Del resto, la profonda conoscenza della città è testimoniata nei primi anni dell’esilio dal De vulgari eloquentia, che dispiega riferimenti a una cultura filosofico-linguistica di taglio universitario e mostra soprattutto un’attenzione acutissima verso i fenomeni linguistici bolognesi, per non dire poi dello spazio che hanno in quest’opera i poeti della città felsinea, e non solo il sempre esaltato Guinizzelli.
Nella Commedia la presenza di Bologna è più complessa e controversa: fra le tante città criticate dal poeta per i loro vizi, Bologna non fa certo eccezione ed è anzi colpita con particolare violenza in occasione degli incontri con dannati bolognesi, come Venedico Caccianemico, dannato fra i ruffiani (Inf. XVIII, 40-63), e i frati gaudenti Loderingo e Catalano, nella bolgia degli ipocriti (Inf. XXIII, 103-144). Ma anche un illustre professore della Studium viene citato: Francesco d’Accursio (Inf. XV, 110), professore di diritto all’Università di Bologna e figlio del celebre Accursio, viene indicato fra i sodomiti, violenti contro natura. La sua condanna non sembra però coinvolgere la città, ma prova piuttosto il fatto che tra i sodomiti si trovano «litterati grandi e di gran fama» (Inf. XV, 107).
Il fervido ambiente universitario bolognese, con le sue officine di produzione dei manoscritti e con gli artisti che ornavano i codici, è poi indirettamente alluso nel corso dell’incontro con un miniatore attivo a Bologna, Oderisi da Gubbio, che nel dialogo con Dante cita anche a un altro miniatore più giovane di lui e di cui riconosce la superiorità artistica, Franco Bolognese. È evidente che Dante, innamorato dei libri e affascinato dai codici miniati, rimase colpito nelle sue visite bolognesi dall’eccellenza degli artisti impegnati a Bologna in tale attività, tanto da farne, molti anni dopo, un punto di riferimento per la propria riflessione sull’eccellenza artistica e sulla sua natura effimera, poi esemplificata anche nella pittura e nella poesia, dove i due Guidi sono proprio il bolognese Guido Guinizzelli e Guido Cavalanti (Purg. XI, 97-99). Del resto, che il poeta bolognese sia per Dante una presenza costante trova conferma nel prosieguo della seconda cantica e in particolare nell’incontro messo in scena nella cornice dei lussuriosi (Purg. XXVI, 91-114).
Nel Paradiso non mancano riferimenti a personaggi legati a Bologna e all’ambiente di alta cultura intorno all’Università, riferimenti non a caso concentrati nei canti del cielo del Sole, dove Dante incontra gli spiriti sapienti. Fra costoro viene citato il giurista Francesco Graziano, monaco camaldolese nel monastero dei santi Felice e Naborre a Bologna, dove insegnò come “magister divinae paginae”, cioè professore di teologia e di esegesi biblica. Graziano, che visse nel XII secolo, è celebre per la sua sistemazione del diritto ecclesiastico nell’opera nota come Decretum Gratiani. E in questo stesso cielo non va dimenticato san Domenico, anch’egli bolognese, in quanto sepolto a Bologna, dove morì il 6 agosto 1221: a Domenico Dante dedica un grande elogio che fa pronunciare al beato francescano Bonaventura da Bagnoregio (Par. XII, 31-105). Proprio in opposizione al modello santo di Domenico, che «in picciol tempo gran dottor si feo» esclusivamente «per amor de la verace manna», cioè della vera sapienza divina, Bonaventura stigmatizza invece coloro che cercano la sapienza per ottenere il prestigio e le ricchezze mondane (vv. 82-85). Sono quelli che si affannano dietro alle scienze giuridiche, indicate con un’allusione a Enrico di Susa e alle sue opere di diritto canonico, e dietro alle scienze mediche, qui rappresentate proprio da un altro professore dello Studium bolognese, Taddeo Alderotti, autore di celebri testi di medicina, ma anche di un volgarizzamento della Summa Alexandrinorum, epitome latina dell’Etica Nicomachea di Aristotele, che Dante ricorda, con scarsa stima, anche nel Convivio (I, x, 10).
Il rapporto con Bologna continua sino alla fine. Quando Dante si trovava ormai a Ravenna, fra il 1320 e il 1321, si svolge uno scambio di epistole latine con Giovanni del Virgilio, professore di grammatica a Bologna e celebre commentatore dei classici latini. L’iniziativa della corrispondenza poetica spetta al professore bolognese, che indirizza a Dante un’epistola metrica per invitarlo a non mortificare la poesia nella lingua del volgo, come sta facendo nella Commedia, e a scrivere invece un poema in latino, assicurandogli in tal caso l’incoronazione poetica all’Università di Bologna. L’invito del professore non avrà buon esito ma spingerà Dante a un’iniziativa poetica imprevedibile: la composizione di un’egloga latina dialogata, che riporta in vita un genere letterario antico e prestigioso. È un nuovo episodio che mostra l’importanza e ancora la complessità del rapporto di Dante con Bologna, tra le suggestioni del suo ambiente di alta cultura universitaria e le condizioni politiche non sempre favorevoli.
Non è quindi un caso che anche la prima diffusione della Commedia, all’indomani della morte del poeta, abbia come epicentro Bologna e che la cultura bolognese sia in prima fila pure nel lavoro di esegesi. Dopo quello del figlio Iacopo, che nel 1322 stende un commento in volgare all’Inferno, i primi commenti vengono prodotti a Bologna: già negli anni Venti vi viene realizzato da Graziolo Bambaglioli il primo commento in latino, al solo Inferno, caratterizzato da chiose puntuali e da una grande quantità di citazioni. E sempre a Bologna Iacomo della Lana scrive in volgare fra il 1324 e il 1328 il primo commento all’intero poema, un commento nato nell’ambito della cultura universitaria che mostra quindi grande attenzione ai contenuti dottrinali della poesia dantesca. Un altro fra i commenti trecenteschi del poema, forse quello più importante e prestigioso, di Benvenuto da Imola, trae origine da lezioni tenute all’Università di Bologna, con ogni probabilità nel 1375, anche se poi viene portato a compimento in un successivo soggiorno ferrarese.
Forte di un rapporto tanto importante e antico con Dante, l’Università di Bologna ha costruito negli ultimi centocinquant’anni un’altissima tradizione di studi danteschi che ha offerto un contributo molteplice e decisivo allo sviluppo della moderna filologia e critica dantesca ma anche alla ricezione artistica, scolastica e popolare di Dante e delle sue opere.
Non è un caso che i due poeti che in modi diversi segnarono il passaggio dall’Ottocento al Novecento, Giosue Carducci e Giovanni Pascoli, e che furono fra i protagonisti degli studi danteschi a cavallo fra i due secoli, furono anche professori all’Università di Bologna. Carducci tenne per primo anche l’insegnamento di ‘Storia comparata delle letterature neolatine’, fondando così la grande tradizione degli studi di Filologia romanza all’Università di Bologna, e tenne la cattedra di Letteratura italiana, sulla quale fu poi chiamato anche Giovanni Pascoli. Entrambi dedicarono a Dante non solo studi importanti ma anche corsi e lezioni universitarie, determinando la forte vocazione dantesca dell’italianistica bolognese. Se Carducci fu soprattutto attento alla dimensione filologica e storicizzante nell’approccio alla poesia di Dante, pur con finissima sensibilità di poeta-lettore, Pascoli ne indagò soprattutto la dimensione allegorico-simbolica, inaugurando così un altro filone, non meno importante e decisivo, del dantismo critico novecentesco.
Il contributo dei professori bolognesi allo studio di Dante si caratterizza per la sua natura multidisciplinare. Se Carducci fonda anche gli studi sui rapporti fra Dante e le letterature romanze, un allievo bolognese di Carducci e di Giovan Battista Gandino, Giuseppe Albini, avvia anche il contributo dantesco dei latinisti bolognesi. Al grande filologo latino, che fu anche rettore dell’Università dal 1927 al 1930, si deve infatti un’importante edizione critica e commentata della corrispondenza poetica fra Giovanni del Virgilio e Dante. Tale tradizione di studi sarà rinnovata da Giovanni Battista Pighi, a sua volta professore di Letteratura latina, in occasione del settimo centenario della nascita di Dante, nel 1965.
Anche il contributo degli storici dell’Università di Bologna agli studi danteschi, particolarmente importante su un tema decisivo come quello dei rapporti fra Dante e la città felsinea, vanta una lunga tradizione, che risale almeno ai primi anni del Novecento, con gli studi di Luigi Rava, per poi acquisire un carattere più solido e scientifico con i lavori di Eugenio Dupré-Theseider e soprattutto di Ovidio Capitani, uno dei grandi maestri della medievistica bolognese, italiana e internazionale. In questo ambito hanno offerto saggi di rilievo nella seconda metà del Novecento e sin verso i primi anni del nuovo millennio altri storici insigni, come Gina Fasoli, Girolamo Arnaldi o Augusto Vasina, quest’ultimo soprattutto attento all’area romagnola tanto intensamente frequentata da Dante. Accanto al lavoro degli storici medievisti bolognesi, nel tentativo di ricostruire i caratteri della città di Bologna al tempo di Dante e di setacciare la documentazione archivistica alla ricerca di tracce della sua presenza, hanno dato un contributo rilevantissimo i paleografi dell’Alma Mater, fra i quali hanno una posizione di spicco Gianfranco Orlandelli e poi il suo allievo Giovanni Feo. Il magistero di Ovidio Capitani è stato decisivo non solo per gli studi storici su Dante e Bologna ma anche per quelli sul pensiero politico di Dante e sui suoi rapporti con il pensiero politico medievale. Fra i medievisti bolognesi che più hanno contribuito a questo settore negli ultimi decenni sono certo Maria Consiglia De Matteis e Carlo Dolcini.
Fondata da Carducci, la romanistica dell’Università di Bologna, ha fin dalle sue origini una speciale attenzione per Dante, che prosegue nei grandi professori del Novecento, da Vincenzo de Bartholomaeis, che indagò spesso temi danteschi nei suoi studi sulla storia del teatro medievale e sulla lirica romanza; ad Amos Parducci, il cui corso sulla lirica trobadorica colpì Pier Paolo Pasolini, studente nel 1939-40, tanto da ispirarlo per la composizione del suo primo libro di versi, Poesie a Casarsa; a Marco Boni, editore e studioso di un poeta tanto rilevante in ottica dantesca come Sordello da Goito. Si può aggiungere che tale vocazione dantesca dei filologi romanzi bolognesi si è confermata e anzi rafforzata in anni recenti, grazie a studiosi come Luciano Formisano.
Se agli studiosi bolognesi del medioevo in ambito storico, paleografico, filologico e storico-letterario si devono tradizioni scientifiche tanto rilevanti e ancora vivissime, un ruolo speciale nel medievalismo non solo bolognese ma italiano e internazionale ha svolto un professore bolognese d’eccezione come Umberto Eco, protagonista per decenni del dibattito culturale in Italia e all’estero. Nelle sue incursioni nei più vari campi della cultura alta e di quella popolare, Dante è stato un punto di riferimento costante, non solo per i saggi fondamentali offerti su temi decisivi del suo pensiero filosofico e linguistico ma anche per le emergenze continue in tutti i suoi lavori di storia delle idee e della cultura. Altrettanto interessanti, per le loro radici goliardiche e quindi profondamente universitarie e bolognesi, i tanti gustosi interventi di taglio parodico e umoristico, che rivelano una familiarità intensa con il poeta della Commedia.
L’italianistica bolognese prosegue per tutto il Novecento e oltre l’intenso lavoro scientifico e didattico su Dante che fin dall’inizio ne costituiva, attraverso il magistero di Carducci e Pascoli, uno dei terreni privilegiati. Successore di Pascoli sulla cattedra di Letteratura italiana, Alfredo Galletti fu insieme ad Albini uno dei protagonisti delle celebrazioni bolognesi per il sesto centerario della morte del poeta nel 1921. I grandi italianisti bolognesi dei decenni centrali del Novecento non furono propriamente dei dantisti, ma diedero contributi rilevanti agli studi danteschi. Così Carlo Calcaterra studiò Dante soprattutto in relazione a Petrarca, di cui fu uno dei massimi specialisti, mentre Francesco Flora inserì sapientemente Dante nella sua prospettiva storiografica e contribuì a rinnovare l’approccio crociano allo studio del poeta. Nemmeno Raffaele Spongano fu un vero e proprio dantista ma offrì studi rilevanti e non occasionali, e si trovò a contribuire in modo decisivo alle celebrazioni del settimo centenario della nascita di Dante, nel 1965, soprattutto per l’organizzazione del convegno su “Dante e Bologna ai tempi di Dante”, che fu aperto proprio da una sua prolusione.
Per certi aspetti, gli anni intorno al centenario del 1965 segnano uno spartiacque anche per il dantismo degli italianisti bolognesi, che a partire da quel decennio conosce una straordinaria intensificazione. Agli anni Sessanta risalgono infatti i primi saggi danteschi di Ezio Raimondi, in cui si dispiega una nuova attenzione alla dimensione scritturale, liturgica e simbolica della Commedia in relazione con la cultura medievale. Si apre così una nuova stagione per la critica dantesca, a cui Raimondi darà anche in seguito contributi decisivi. Allo stesso decennio risalgono pure i primi lavori danteschi di Fiorenzo Forti, capaci di sciogliere intricati nodi interpretativi grazie a estese e profonde ricerche sui significati dei termini danteschi nella cultura medievale. La seria contestualizzazione dell’opera dantesca nella cultura medievale esplorata nella sua ricchezza e complessità e insieme un’attenzione acuta per i fenomeni formali, retorici e stilistici, anch’essi sempre però contestualizzati e storicizzati, caratterizzano tutto il dantismo bolognese degli ultimi decenni. Sono tendenze attive anche nei numerosi e importanti lavori danteschi di Mario Pazzaglia, che tenne pure l’insegnamento di Filologia dantesca. Una voce particolare è quella di Piero Camporesi, esploratore di temi come il cibo, il corpo, l’aldilà, con saggi a cavallo fra storia letteraria, storia delle idee e storia sociale, il quale fu capace di illuminare mirabilmente il ruolo della poesia dantesca nella storia di queste tematiche.
Fra i grandi maestri dell’italianistica bolognese è certo Emilio Pasquini quello che più di ogni altro ha contribuito agli studi danteschi sino e imporsi come uno dei massimi specialisti sulla scena internazionale. Oltre a un fortunato commento alla Commedia e a studi innovativi e influentissimi, che hanno inaugurato una nuova attenzione al farsi del poema nel tempo in relazione alla biografia del poeta e alle vicende storiche in cui era immerso, Pasquini si è dedicato negli ultimi anni anche a un meritorio lavoro di divulgazione dantesca di altissimo livello. Al magistero di Ezio Raimondi è legata invece la multiforme attività critica di Andrea Battistini, che, pur fra interessi molteplici e complessi, ha coltivato anche una lunga e profonda fedeltà agli studi danteschi, offrendo una lettura del poema capace, tra l’altro, di rivelare la sua dimensione retorica come finalizzata a promuovere una conversione morale e spirituale nel lettore.
La ricca polifonia del dantismo degli italianisti bolognesi fra gli anni Sessanta del Novecento e i primi anni Duemila si ritrova in parte in alcune memorabili fotografie di gruppo costituite da due volumi delle ravennati «Letture Classensi», il n. 15 (1986) e il n. 25 (1996), coordinati rispettivamente da Ezio Raimondi e da Emilio Pasquini, con interventi, oltre che degli stessi Raimondi e Pasquini, anche di Bruno Basile, Gian Mario Anselmi, Carlo Delcorno, Andrea Battistini, Mario Pazzaglia e Alfredo Cottignoli.
La menzione delle «Letture Classensi» e di Alfredo Cottignoli indica la via per giungere, conclusivamente, da Bologna a Ravenna. Se il rapporto di Dante con Bologna è intensissimo ma non privo di difficoltà, il culto di Ravenna per Dante non conosce ombre e risale anch’esso alla biografia del poeta, che in quella città fu accolto e onorevolmente ospitato, trascorse gli ultimi anni e trovò lo morte, per poi esservi sepolto. Proprio intorno al sepolcro di Dante si sviluppò nei secoli un culto laico che ebbe un momento decisivo nel 1865, quando si celebrava in tutta Italia e specialmente a Firenze, da poco divenuta la capitale del nuovo stato italiano unitario, il sesto centenario della nascita del poeta. Ravenna, inizialmente defilata, assunse una posizione centrale allorché si verificò il ritrovamento di una cassetta contenente le spoglie mortali del poeta. Intorno alle «Dantis ossa» si consolidò un culto laico, nutrito degli ideali del dantismo risorgimentale che vedeva in Dante il profeta della nazione italiana.
Fu così naturale per Ravenna divenire l’epicentro delle celebrazione del successivo centenario, il sesto della morte, nel 1921. Al consolidamento della lettura politica risorgimentale, piegata ora anche a nuovi, inquietanti e violenti impulsi nazionalistici, si accompagnarono fenomeni nuovi e vitali, come un forte coinvolgimento della cultura cattolica. Ma furono rilevanti anche le indagini antropologiche sulle ossa del poeta avviate per iniziativa del Comune in occasione del centenario e affidate a un illustre antropologo dell’Università di Bologna, Fabio Frassetto. Si tratta di indagini su cui sono intervenuti, negli ultimi decenni, due professori della sede ravennate dell’Università di Bologna, l’antropologo Giorgio Gruppioni e l’italianista Alfredo Cottignoli. A Ravenna, nel Dipartimento di Beni Culturali si è infatti creato un ambiente assai ricco, in cui gli italianisti lavorano accanto agli antropologi, agli storici medievali, agli archeologi e agli specialisti di storia dell’arte, di orientalistica e di altre discipline.
Un ambiente così multidisciplinare si rivela particolarmente favorevole a raccogliere l’eredità del magistero di Corrado Ricci, insigne storico dell’arte e fra i fondatori della tradizione di studio e di tutela dei beni culturali nel nostro paese, nonché appasionato dantista e studioso soprattutto della presenza di Dante a Ravenna. Si deve a lui la prima esplorazione del patrimonio archivistico ravennate in relazione al soggiorno di Dante a Ravenna e la prima pioneristica individuazione di quel cenacolo di amici e di allievi che circondò devotamente il poeta nel suo «ultimo rifugio».
EN (asbtract)
Between Dante and the University of Bologna there is a deep and ancient relationship: the traces of Dante are numerous and date back to the first attestation of one of his works, the sonnet of the Garisenda (1287), which shows us him traveling in a city where there was an atmosphere of great culture and a great tradition of poetry in the vernacular about love, brilliantly renewed by Guido Guinizzelli.
The deep knowledge of the city is evidenced in the early years of exile in the De vulgari eloquentia, through references to an academic philosophical-linguistic culture, a keen attention to Bolognese linguistic phenomena and to the space given to the city's poets.
In the Comedy the presence of Bologna is more complex and controversial: among the many cities criticized by the poet for their vices, Bologna is not an exception and is indeed hit with particular violence on the occasion of the encounters with the damned from Bologna. It is also evident that Dante was struck in his visits to Bologna by the excellence of the Bolognese illuminators, so much that many years later they became a point of reference for his own reflection on artistic excellence and its ephemeral nature. Aldo in the Paradise there are references to characters linked to Bologna and its great cultural environment around the University, not surprisingly concentrated in the sky of the Sun, where Dante meets the wise spirits.
The relationship with Bologna continues to the end: when Dante was in Ravenna, between 1320 and 1321, an exchange of Latin epistles takes place with Professor Giovanni del Virgilio, who sends Dante a metric epistle to invite him to write a poem in Latin, ensuring his poetic coronation at the University of Bologna. The professor's invitation will not be successful but will push Dante to an unpredictable poetic initiative: the composition of a dialogued Latin eclogue, which brings to life an ancient and prestigious literary genre.
It is therefore no coincidence that even the first diffusion of the Comedy, after the poet's death, has Bologna as its epicenter and that the Bolognese culture is also at the forefront in the work of exegesis. After his son Iacopo, who wrote a comment on Hell in vernacular in 1322, the first comments were produced in Bologna by Graziolo Bambaglioli, Iacomo della Lana and Benvenuto da Imola.
On the strength of such an important and ancient relationship with Dante, the University of Bologna has built over the last 150 years a very high tradition of Dante's studies: it is not a coincidence that Giosue Carducci and Giovanni Pascoli were among the protagonists of Dante's studies between the two centuries and also professors at the University of Bologna. If Carducci was above all attentive to the philological and historicizing dimension in his approach to Dante's poetry, Pascoli mainly investigated the allegorical-symbolic dimension.
The contribution of the Bolognese professors to Dante's study is characterized by its multidisciplinary nature: Carducci also founds studies on the relationship between Dante and Romance literature, his pupil Giuseppe Albini initiates the contribution by the Bolognese Latinists, a tradition renewed by Giovanni Battista Pighi.
The contribution of historians also boasts a long tradition, which dates back at least to the early years of the twentieth century, with the studies of Luigi Rava, Eugenio Dupré-Theseider and above all of Ovidio Capitani and continues in the second half of the twentieth century and into the early years of the new millennium with other famous historians, such as Gina Fasoli, Girolamo Arnaldi or Augusto Vasina. Alongside this work, paleographers such as Gianfranco Orlandelli and Giovanni Feo made a very important contribution. The teaching of Ovidio Capitani was decisive not only for the historical studies on Dante and Bologna but also for those on his political thought also in relation to medieval political thought. Among the Bolognese medievalists who have contributed most to this sector there are Maria Consigli De Matteis and Carlo Dolcini.
Founded by Carducci, the Roman studies of the University of Bologna, from its origins has a special attention for Dante, which continues with the great professors of the twentieth century, from Vincenzo de Bartholomaeis to Amos Parducci, whose course on troubadour lyric struck Pier Paolo Pasolini, to Marco Boni and, in recent years, Luciano Formisano.
An exceptional Bolognese professor such as Umberto Eco, protagonist of the cultural debate in Italy and abroad for decades, played a special role in medievalism not only in Bologna but in Italy and abroad. In his forays into the most varied fields of high and popular culture, Dante has been a constant point of reference.
Bolognese Italianism continued throughout the twentieth century and beyond the intense work: Galletti and Albini were among the protagonists of the Bolognese celebrations for the sixth centenary of the poet's death in 1921, while the great Bolognese Italianists of the central decades of the twentieth century, such as Carlo Calcaterra, Francesco Flora and Raffaele Spongano were not really Dante's, but they made significant contributions to Dante's studies.
In the years around the centenary of 1965, the Danteism of the Bolognese Italianists experienced an extraordinary intensification: the first Dantean essays by Ezio Raimondi and the first works by Fiorenzo Forti, capable of dissolving intricate interpretative knots thanks to extensive and profound research on meanings, date back to the 1960s. These trends are also active in the numerous and important works by Mario Pazzaglia, who also taught Dantean Philology. A particular voice is Piero Camporesi, an explorer of the role of Dante's poetry in themes between literary history, the history of ideas and social history.
More than any other, Emilio Pasquini contributed to Dante's studies and also dedicated a meritorious work to dissemination of Dante of the highest level. The multiform critical activity of Andrea Battistini is linked to the teaching of Ezio Raimondi, who offered a reading of the poem capable of revealing its rhetorical dimension as aimed at promoting a moral and spiritual conversion in the reader.
The rich polyphony of Bolognese Italianists between the 1960s and the early 2000s is partly found in some memorable group photographs consisting of two volumes of Ravenna's «Letture Classensi», n. 15 (1986) and no. 25 (1996), coordinated respectively by Ezio Raimondi and Emilio Pasquini, with interventions also by Bruno Basile, Gian Mario Anselmi, Carlo Delcorno, Andrea Battistini, Mario Pazzaglia and Alfredo Cottignoli.
If Dante's relationship with Bologna is very intense but not without difficulties, the cult of Ravenna for Dante knows no shadows and also goes back to the biography of the poet, who was welcomed and honorably hosted in that city, spent the last years and found death, until being buried there. Ravenna assumed a central position in 1865, when the discovery of a box containing the poet's mortal remains took place, around which a secular cult was consolidated, nourished by the ideals of the Risorgimento that saw Dante as the prophet of the Italian nation.
It was therefore natural for Ravenna to become the epicenter of the celebration of the following centenary, the sixth of his death, in 1921. The anthropological investigations on the poet's bones entrusted to the illustrious anthropologist Fabio Frassetto, on whom the anthropologist Giorgio Gruppioni and the Italianist Alfredo Cottignoli intervened.
Such a multidisciplinary environment is particularly favorable to collecting the legacy of Corrado Ricci's teaching, to whom we owe the first exploration of the Ravenna archival heritage in relation to Dante's stay in Ravenna and the first pioneering identification of that cenacle of friends and students, who devotedly surrounded the poet in his "last refuge".
Mostra virtuale pubblicata il 25 marzo 2021.