Dall’Alma Mater al mondo. Dante all’Università di Bologna

Giosuè Carducci

Giosue Carducci dantista dantesco (a cura di Marco Veglia)

Giosue Carducci (1835-1907), poeta e protagonista del dibattico culturale e politico del suo tempo, fu anche un importante studioso dell’opera di Dante, che fu uno dei centri della sua attività di ricerca e di insegnamento all’Università di Bologna. Ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa nel 1853, con un tema su Dante e il suo secolo, dal 1856 all’estate del 1857, ebbe il suo primo incarico di insegnamento nel ginnasio di San Miniato. In seguito collaborò con l’editore fiorentino Barbèra pubblicando edizioni di Alfieri, Tassoni, Parini, Monti, Giusti. Nel 1860 venne nominato professore all’Università di Bologna, dove insegnò sino al 1904. Poesia, prosa polemica e autobiografica, prosa erudita e politica, insegnamento, attività politica cittadina e, poi, nazionale, convissero sempre in questo intellettuale pugnace e raffinato, focoso e pensoso. Il magistero paterno, che sin dall’infanzia lo esortò allo studio dei classici, insieme con una precoce vocazione agli studi orientarono Carducci allo studio della Commedia, restituita ai suoi contesti storici, come suggeriscono i documenti qui esposti, a cominciare da alcune annotazioni sulla famiglia di Dante [1] e dalle riflessioni sul principio ghibellino [2].

Nelle sue opere poetiche, come anche negli studi critici, Carducci seppe rappresentare il paesaggio e la storia; dalla storia trasse ispirazione, ne sentì la vita perenne e fluente, non algida e polverosa. Al centro del suo orizzonte ideale, della sua vita e dei suoi affetti (Dante fu il nome del fratello e, del pari, Dante fu il nome del figlio, entrambi precocemente scomparsi), il poeta della Commedia restò sempre un meridiano (tra saggi eruditi, discorsi, lezioni, poesie, in una costante sintesi tra approfondimento storico-filologico, culto domestico e culto pubblico della voce del profeta). L’ampiezza delle sue letture e l’acutezza delle sue riflessioni lo portarono a distaccarsi dal dantismo precedente. La filologia, che per Carducci era un «amoroso uso di sapienza», lo induceva a una strenua storicizzazione del mondo di Dante, come si può ben comprendere dal quadro ampio e articolato disegnato nelle lezioni della Introduzione allo studio su Dante e il secolo XIV [3]Dalla filologia e dalla tendenza alla storicizzazione discese più tardi il suo rifiuto di rendere Dante strumento di propaganda politica laicista, quando declinò, nel 1887, l’offerta di una cattedra dantesca in RomaOltre al tema per l’accesso alla Normale, del periodo giovanile restano (1855) sei temi dedicati a L’epopea e la “Divina Commedia”, dove l’orizzonte dello spirito dantesco è per Carducci quello stesso della letteratura europea. Giunto a Bologna nel novembre del 1860, uno dei primi libri che il giovane professore si procura è, a specchio di questi vasti orizzonti, il Dante di Claude Fauriel. Fin dai primordi, il magistero bolognese colloca Dante nella storia politica, linguistica e letteraria del suo tempo, nella prospettiva seguita dai protagonisti del dantismo europeo: significativa, in questo senso, la lettera a Carl Witte [4].

La prospettiva storicizzante e la dimensione internazionale permettevano a Carducci di sciogliere lo studio di Dante da una eccessiva attualizzazione risorgimentale (che egli pure sentiva come propria), come anche da certa bulimia celebrativa, verso la quale mostrò segni di insofferenza fin dal centenario dantesco del 1865 [5]. Il primo saggio carducciano (Delle “Rime” di Dante), compare nel volume che segna di sé il 1865 (Dante e il suo secolo) [6]. In quell’anno, a Firenze divenuta capitale d’Italia, i festeggiamenti per l’Unità del Paese s’intrecciarono e in parte s’identificarono con il centenario del poeta. Nel Riepilogo dei temi svolti nelle lezioni all’Università di Bologna tra il 1862 e il 1865 troviamo numerosi argomenti danteschi, uncinati al contesto della letteratura cortese e romanza, a cominciare dalla «divisione delle lingue neo-latine secondo Dante». Dante è insomma il centro e l’approdo di uno studio sistematico della civiltà medievale, che giunge coerentemente all’insegnamento della filologia romanza presso l’Università di Bologna, con la denominazione di ‘Storia comparata delle letterature neolatine’, cattedra che il Carducci tenne dal 1875 al 1904, vera e propria fondazione degli studi di romanistica presso l’Ateneo bolognese.

Lo storicismo carducciano, sulla ricordata scia del Fauriel, si riverberava nelle considerazioni dedicate a coloro che, del poeta, ricostruirono le vicende biografiche con attenzione al loro contesto storico [7], come pure a coloro che lo chiosavano e spiegavano: dagli antichi commentatori trecenteschi sino agli interpreti più recenti [8][9]. Storia della tradizione, filologia, storia delle forme metriche e linguistiche, prospettiva critica comparatistica, si misuravano non solo con i grandi temi dell’interpretazione, ma anche con i difficili problemi del testo critico del poema, che sollecitavano l’elaborazione di nuovi strumenti di indagine [10][11]Lo studio dei temi più attuali e complessi della filologia dantesca induceva Carducci e esaminare a fondo alcuni dei loci più delicati della Commedia [12] e a confrontarsi assiduamente con altri commenti, che egli accompagnava di postille, che emendavano certe scelte testuali e certe linee esegetiche. Rilevanti, in questo senso, le postille al commento di Brunone Bianchi del 1854 [13][14]. Nei discorsi su Dante e Petrarca, in quelli sullo Svolgimento della letteratura nazionale e nelle pagine su L’opera di Dante (1888), egli non dismise il suo abito critico, che era una sapiente fusione di storicismo e di auscultazione lirica. A un intelligente equilibrio tra storicismo e contemporaneità della parola dantesca è votata anche l’opera decisiva profusa da Carducci per la nascita della Società Dante Alighieri. Un compendio della sua vita di “dantista dantesco” è rappresentato forse dal saggio sulla canzone Tre donne intorno al cor (1904). Per l’occasione, egli tornava col ricordo al saggio sulle Rime del 1865 e al poeta che aveva accompagnato il suo percorso di studioso: «col discorso delle Rime di Dante posi il piè fermo nel campo dello scrivere italiano; ed ora stanco lo ritraggo con questo saggio sulla più nobile canzone di Dante: da lui cominciai, con lui finisco»

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Carducci Dantean Dantist

Giosue Carducci (1835-1907), a poet and leading figure in Italian and European cultural debates, made Dante a central focus of his research and teaching activity at the University of Bologna. Admitted to the Scuola Normale Superiore of Pisa in 1853, with an essay on Dante e il suo secolo (‘Dante and His Century’), he taught at the San Miniato grammar school from 1856 to summer 1857. His work on Dante’s lyric poems and fortune are still essential today. They are the fruit of his academic career in Bologna, which lasted from 1860 to 1904. Poetry, polemic and autobiographical prose, scholarly and political prose, teaching, and local, then national, political activity forever coexisted in this pugnacious and refined, fiery and thoughtful intellectual. His father taught young Giosue and encouraged him to study the classics. This experience, together with an early vocation for study, drove him to study the Comedy in its historical context, as the documents displayed here suggest: notes on Dante’s family [1] and reflections on the Ghibelline principle [2]. In both his poetic works and critical studies, Carducci was skilled at evoking landscapes and history; he drew inspiration from history, exulting in its perennial and flowing life. History was not cold and dusty for Carducci. At the centre of his ideal prospects, life and affections (Dante was the name of his brother, Dante the name of his son, both of whom died young), the poet of the Comedy forever remained a meridian for Carducci (from scholarly essays, speeches and lectures to poems, in a constant synthesis between historical-philological analysis, the domestic cult and public cult of the prophet’s voice). The breadth of his readings and acuity of his reflections led him to distance himself from the Dantism of the past. Philology, which Carducci saw as a “loving use of wisdom”, induced him to doggedly historicise Dante’s world, as the wide-ranging and detailed portrait of this he created in the lessons of Introduzione allo studio su Dante e il secolo XIV (‘Introduction to the Study of Dante and the 14th Century’) reveals [3]. From his interest in philology and historicising tendencies arose his later refusal to forge Dante into a tool of secular political propaganda, as when he declined, in 1887, the offer of a Dantean faculty position in Rome. In addition to the essay he wrote to gain admission to the Normale of Pisa, six more early essays survive (1855), dedicated to L’epopea e la «Divina Commedia» (‘The Epic and the Divine Comedy’). In these, Carducci argues that the horizon of the Dantean spirit coincides with that of European literature. Mirroring these broad horizons, one of the first books the young professor purchased upon arriving in Bologna in November 1860 was Claude Fauriel’s Dante. From the beginning, the Bolognese professor placed Dante in his political, linguistic and literary context, the same perspective adopted by other leading scholars in European Dantism. Carducci’s letter to Carl Witte [4] is revealing. This historicising and international perspective freed Carducci to detach his study of Dante from an excessively narrow interpretation that placed Dante at the centre of Italian unification, which he nonetheless also felt his own. Carducci also had little patience for the nauseating surfeit of Dantean celebrations that had arisen ever since 1865 [5]. Carducci’s first essay (Delle «Rime» di Dante, ‘On Dante’s Rime’) appeared in a volume marking the 1865 anniversary (Dante e il suo secolo) [6]. Florence became the capital of Italy that year. The celebrations of Italian unification intertwined with and become a part of those honouring the poet’s birth 600 years before. In the Riepilogo (‘Summary’) of the topics addressed in Carducci’s lectures at the University of Bologna from 1862 to 1865, Dante appears numerous times in the context of courtly and Romance literature, beginning with the «division of Romance languages according to Dante». Dante is, in short, the centre and destination of Carducci’s systematic study of medieval civilization. This calling led Carducci to teach Romance philology at the University of Bologna under the rubric ‘Comparative History of Romance Literatures’, a teaching post he held from 1875 to 1904. It was the foundation of Romance studies at the University of Bologna. Carducci’s historicism followed Fauriel and echoed in the consideration he dedicated to those who reconstructed Dante’s biographical events in historical context [7], as well as those who annotated and explained it: from the 14th-century commentators to the most recent scholars [8][9]. He measured the history of tradition, of metric and linguistic forms, philology, and comparative critical perspectives against not only the great interpretive themes but the challenges of the poem’s critical text, which called for the development of new instruments of investigation [10][11]. The study of the most current and complex themes of Dantean philology inspired Carducci to examine in-depth several of the most delicate loci in the Comedy [12] and to assiduously tackle other analyses that amended certain textual choices and lines of reasoning, adding his own annotations. His annotation of Brunone Bianchi’s 1854 analysis is one such example [13][14]. In his speeches about Dante and Petrarch, those addressing the Svolgimento della letteratura nazionale (‘The Development of National Literature’), and in the pages of L’opera di Dante (‘Dante’s Work’, 1888), Carducci never cast off his critical cloak, which was a wise fusion of historicism and lyrical auscultation. A shrewd balance between the historicism and contemporaneity of Dantean discourse also characterises the decisive work Carducci contributed for the birth of the “Società Dante Alighieri” (‘Dante Alighieri Society’). Perhaps Carducci’s essay on the song “Tre donne intorno al cor” (‘Three Women Round My Heart’, 1904) best represents his life as a “Dantean Dantist”. For the occasion, he revisited his 1865 essay on Le Rime and the poet who had accompanied his journey as a scholar: «With that discussion of Dante’s Rime, I planted a firm foot in the field of Italian writing; and now tired, I draw it back with this essay on the noblest of Dante’s songs: from him I began, with him I finish»