Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.
Lettere dalla Garfagnana (ottobre 1522-maggio 1523)
[10] I diritti fiscali sulle esecuzioni
Ariosto fa presente ad Alfonso che i riguardi usati dal Duca agli uomini della vicaria di Camporeggiano li rende tracontanti (li inasinisce) al punto che non attribuiscono il giusto compenso a chi fa eseguire una condanna capitale come accade al capitano Raffaele da Carrara che non ha avuto le 50 lire che gli spettavano per aver fatto giusitiziare quel ribaldo. Nella seconda parte della lettera si informa il Duca della nuova appena giunta secondo cui alcuni fanti mercenari imbarcatisi alla volta di Genova, assediata dagli spagnoli, erano caduti in un agguato o dell’ammiraglio genovese Andrea Doria o dell’ammiraglio Bernardino d’Airasa, entrambi a servizio dei francesi.
[11]«Io non son homo da governare altri homini»
Ariosto si compiace del fatto che il Duca approvi la sua proposta di un accordo con le autorità lucchesi e fiorentine in fatto di giustizia. Diverse persone con pendenze processuali e chiamate a comparire pregano Ariosto di posticipare il loro viaggio a Ferrara, probabilmente per le impegnative spese che esso comportava. L’Ariosto, acconsentendo alle richieste degli imputati, si lascia andare ad una accorata confessione in cui denuncia la sua incapacità di governo a causa della troppa compassione. Ariosto fa altresì riferimento alla venuta a Ferrara di due balestrieri, pregando che non vengano spostati di loco. Nelle righe finali compare un auspicio per una ricomposizione dei rapporti con il papato per la restituzione di Modena e Reggio Emilia e il riconoscimento dei possedimenti della Garfagnana.
[12] La retorica della sospensione
In questa lunga missiva, il Servitor dà conto al Duca dei travagli che attraversano il territorio di sua competenza, a partire dall’avvicendamento del podestà di Trasilico, inviso al Duca ma ben voluto dalla popolazione locale, alla condotta scorretta e avida (tale, addirittura, da generare sospetti di connivenza con i malviventi) del capitano di Camporgiano, fino ai provvedimenti legali da prendere nei confronti del bandito Pierino Magnano. Tutta la lettera è incentrata sul dissidio fra realtà ed apparenza. Un caso particolare è quello di Domenico D’Amorotto, il quale si proclamava servitore del Duca, per quanto Ariosto non fosse convinto dell’autenticità della sua benevolenza. È inoltre interessante il lessico della simulazione e dissimulazione che sostanzia una vera e propria retorica della sospensione, centrale per le corti cinquecentesche.
[13] Il timore per la peste
Si affronta il problema del compenso richiesto dai balestrieri e dal loro capitano per le loro exsecutioni, ovvero l’esercizio delle loro funzioni. In questo caso la confisca dei beni mobili di un tal Pierino Magnano ha comportato varie trasferte a cavallo per le quali i balestrieri pretendono un compenso di aggiuntivo. Ma in assenza di leggi o normative che codifichino i compensi il poeta non sa come agire e chiede al Duca normative certe da applicare in casi come questi. La seconda parte esprime la preoccupazione che il contagio di peste possa colpire Castelnuovo e le zone in cui si trova Ariosto, a cui si unisce l’accorata richiesta di far ritorno a Ferrara.
[14] Non si riesce neanche a mangiare buon pesce…
Lettera posta sempre sotto il segno dell’irresolutezza e della richiesta di aiuto da parte del Duca. Ariosto ha fatto tre proposte al parlamento generale della Garfagnana al fine di sconfiggere i banditi, ma alla fine ha dovuto desistere perché i rappresentanti se ne sono andati catervatim per paura di rappresaglie.
[15]I banditi dal Silico.
Ariosto riferisce al Duca dell'omicidio di un prete pisano a Cicerana compiuto – anche se i più lo negano - da Giuliano dal Silico. I fratelli dal Silico continuano dunque, a dispetto delle grida emanate dall’Ariosto, ad abitare a Cicerana e a perpetrare le loro violenze. Ariosto ha imposto al comune di Cicerana una sanzione di 300 ducati per indurne gli abitanti a consegnare al governatore gli autori del delitto. Nel frattempo, Ariosto ha imprigionato Moro dal Silico, non solo per l’ultima efferatezza compiuta dai fratelli (i denari del prete si sono divisi in casa sua), ma soprattutto per i numerosi precedenti misfatti. Prega, infine, il Duca affinché affidi al capitano della Regione di Castelnuovo, e non a lui, il compito di fare giustizia giacché «se una volta non si comincia a castigare li tristi in questo paese, moltiplicheranno in infinito»
[16] I banditi forestieri e gli ecclesiastici:
Ariosto continua a chiedere al Duca di prendere decisioni per riportare l’ordine pubblico in Garfagnana, dal momento che la sua proposta di istituire un battaglione di fanti è stata scartata e che dal consiglio di Camporeggiano non hanno votato la sua proposta di mettere una taglia sui banditi. Ariosto desidera ardentemente punire e sconfiggere i rabaldi (e per raggiungere tale scopo sarebbe anche disponibile a guidare personalmente il battaglione di soldati che ha in mente) ma teme di prendere provvedimenti sgraditi al Duca. Ariosto confida al suo signore che, se dovesse assecondare il suo istinto, avrebbe già bruciato le case dei suoi inimici, ma la ragione gli consiglia che è meglio d’aver li banditi o alcun di essi in mano. Interessante la subordinata costruita alla latina: «cum sit che non debbano aggravarsine».
[17] Banditi a Frassanoro.
Ariosto riferisce al Duca di un grave atto di banditismo: una comitiva di cittadini modenesi diretti ai bagni di Lucca, scortata fino a Frassanoro dagli uomini di Gian Giacomo Cantello, è stata assaltata e depredata dai soliti banditi non appena rimasta priva di scorta. Ariosto prega di nuovo il Duca di prendere provvedimenti per ripristinare l’ordine pubblico e preservare la propria incolumità, per cui Ariosto comincia ad essere seriamente preoccupato: egli tiene infatti prigioniero presso la propria dimora Moro del Silico e, nonostante faccia costantemente sorvegliare la casa da due balestrieri, teme che i compagni organizzino una spedizione per venirlo a liberare.