Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.

Ariosto familiare e ambasciatore

Pressoché ignorato fino alle scoperte degli studiosi di secondo Ottocento, il corpus delle lettere dell’Ariosto consta di 214 missive, scritte tra il 1498 e il 1532. Presso l’Archivio di Stato di Modena (=ASMO) si conserva oggi circa un terzo delle lettere autografe. A parte la prima del 1498 indirizzata al grande tipografo Aldo Manuzio, scritta in latino, tutte le altre lettere sono in volgare e forniscono un ritratto della vita quotidiana dell’Ariosto cortigiano della casa d’Este: servitore fedele adatto a sbrigare le più varie mansioni; quindi, ambasciatore accorto nella Roma di Giulio II e poi commissario nelle riottose terre della Garfagnana, da poco acquisite ai domini estensi. La lettura di questi testi, lontani da ogni codificazione letteraria, aiuta a sgombrare il campo da alcuni invalsi stereotipi della critica, che vogliono l’autore del Furioso un «sublime smemorato», tutto preso dalle sue fantasie poetiche e poco incline ad affrontare i problemi della vita quotidiana. Del vasto corpus di lettere quelle conservate presso l’ASMO sono riconducibili essenzialmente a due ambiti: le missive al Cardinale Ippolito d’Este, il primo signore di Ariosto (1509-1513), e quelle al Duca Alfonso I risalenti al commissariato in Garfagnana (1522-1525). Nella prima sezione (9 lettere qui in mostra) si alternano tanto testimonianze del ruolo giocato dagli Este nelle vicende belliche conseguenti alla Lega di Cambrai quanto richieste di sostentamento per una condizione finanziaria spesso precaria («son rimaso senza un soldo», doc. 8); questi frammenti di macro e microstoria compaiono a fianco di spaccati sulle consuetudini cortigiane. Istruttive, a questo riguardo, sia la bellissima lettera sulla forzata offerta del proprio cane di razza fatta da Ariosto al cardinale Cesarini (doc. 2) che il rapporto spedito da Roma sull’ambasciata gratulatoria per l’elezione al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici, Leone X (doc. 9): qui Ariosto ci consegna un sapido e grottesco quadro di alcuni aspetti deteriori della gerarchia curiale, cui si aggiungono gli studiati vezzi del suo vecchio amico ora assurto a Pontefice. Nella seconda sezione (23 lettere qui in mostra) si raccolgono testimonianze tra le più vive e accorate di un grande poeta del Cinquecento alle prese con un’esperienza politica assai complessa e confliggente con le sue attitudini umane e intellettuali. D’altra parte, un’attenta lettura di queste lettere ci consente di scagionare parzialmente il nostro autore da quell’accusa di incapacità amministrativa a lungo imputatagli, sulla base, peraltro, di una candida e struggente autoaccusa che possiamo leggere in uno degli autografi qui in mostra («Non sono homo da governare altri homini», doc. 11).

Le quasi quotidiane relazioni sui disordini causati dal fenomeno endemico del banditismo sono spesso accompagnate, almeno nel primo periodo, da proposte concrete di contromisure che il Nostro, non avendo la facoltà giuridica di emanare, chiede al Duca di rendere esecutive («che se io per me fossi sufficiente a farli pigliare, non domanderei a vostra excellentia aiuto», doc. 26). All’inizio del suo commissariato in Garfagnana, pur tra sbalzi d’umore, l’Ariosto è mosso dalla convinzione di poter far trionfare la giustizia («quando io non havessi dubitato di errare, havrei havuto il modo di pigliare e di tagliare a pezzi tutti questi ribaldi e la sua compagnia» doc. 16); ma la presa di coscienza che i banditi godono di alcune influenti protezioni, ora da parte di feudatari ora di religiosi, smorza progressivamente gli slanci idealistici e propositivi di Ariosto, che soprattutto nelle lettere finali si abbandona spesso a esternazioni di scoramento («il vedere succedere ma<li> effetti mi fa credere e toccare con mano quello che hora io scr<ivo>»).

Dai resoconti di Ariosto emerge inoltre l’acuto sguardo antropologico rivolto alle complesse ragioni che muovono i banditi, indotti al crimine dalla fame, ma sostenuti da reti di potere - a tratti imperscrutabili - che si manifestano periodicamente nelle grazie concesse loro dal Duca in persona. Anche in questa sezione possiamo notare come gli eventi della Grande Storia si intreccino con le marginali vicende della Garfagnana: le scorribande delle soldatesche di Giovanni dalle Bande Nere trovano, ad esempio, la popolazione impegnata a difendere le poche derrate a disposizione (doc. 31), mentre l’elezione al soglio pontificio del nuovo papa Medici, Clemente VII, getta nel panico la popolazione di Castelnuovo (alla sola notizia, il 23 nov. 1523, «parve che a tutti fosse tagliata la testa» doc. 26). In questo contesto, dove non mancano i problemi sui conflitti di attribuzione dei poteri fra istituzioni e autorità locali da una parte e istanze del potere centrale dall’altra, l’operato di Ariosto si riduce infine al tentativo di barcamenarsi tra vuoti di potere e contingenze avverse. Non siamo lontani dal vano affannarsi dei personaggi del Furioso, che, sovrastati dagli eventi, errano di continuo cercando nuove strade, incerti di raggiungere una meta.


Principali edizioni delle epistole: Lettere di Ludovico Ariosto, con prefazione storico-critica, documenti e note, per cura di A. Cappelli, Milano, Hoepli, 1887 (Modena, 1862; Bologna, 1866); L. Ariosto, Lettere, a cura di A. Stella, Milano, Mondadori, 1965; Ludovico Ariosto, Lettere dalla Garfagnana, a cura di G. Scalia, Bologna, Cappelli, 1977; Ludovico Ariosto, Lettere dalla Garfagnana, a cura di V. Gatto, Reggio Emilia, Diabasis, 2009.


Marcello Dani, Andrea Severi, Giacomo Ventura