Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.

La Garfagnana estense

Come tutti gli stati europei di età moderna, anche quello estense era uno ‘stato composito’, ossia formato da diverse province, giunte sotto l’egida estense in momenti differenti e con differenti modalità. Perciò, se formalmente i contadi di Modena e Reggio si estendevano fino al confine fra Toscana ed Emilia-Romagna, di fatto un territorio montano come la Garfagnana era difficilmente controllabile, soprattutto da Ferrara, collocata a oltre 200 chilometri verso nord-est. Al confine incerto con la Garfagnana lucchese e con quella fiorentina, collegata alla pianura attraverso strade impervie che divenivano quasi impraticabili in autunno e inverno, la Garfagnana estense – assoggettatasi volontariamente ai signori di Ferrara fra il 1429 e il 1451 - fu costituita provincia dello stato grazie al decreto imperiale del 18 maggio 1452. Le tre aree di competenza in cui era suddivisa la Garfagnana erano tutte situate tra l’alta valle del Serchio, le Apuane e l’Appennino tosco-emiliano. La provincia estense godeva di una serie di privilegi fiscali che la rendevano unica nel panorama complessivo dello stato. Di fatto la Camera ducale, ossia il fisco dei duchi, poteva esigere dai sudditi garfagnini solo la tassa sul sale, le condanne pecuniarie penali e le rendite di mulini, taverne e pascoli, trattando per di più direttamente coi comuni locali, senza avere, cioè, rappresentanti in loco. Le ottantatré comunità rurali erano inoltre assoggettate ad un sistema di governo federale composto da quattro vicarie (Castelnuovo, Trassilico, Camporgiano, Terre Nuove), col quale dovevano confrontarsi quotidianamente i funzionari ducali come Ariosto, sia per il controllo dell’ordine pubblico che per lo svolgimento di fiere e mercati e la gestione delle finanze locali. Le università federali erano politicamente controllate dalle fazioni del luogo, temutissime dai rappresentanti dei duchi, perché vivevano di un radicamento vicinale e parentale e perché miravano proprio a controllare il territorio, i suoi abitanti e le sue risorse naturali (M. Folin). In tal modo, le fazioni col loro elevato potenziale aggressivo si ponevano come struttura di governo alternativa a quella ducale.

Quando il 20 febbraio 1522 il poeta prese possesso dell’ufficio di commissario in Garfagnana, vale a dire massimo rappresentante politico dei duchi nell’area, quella terra era tornata al dominio estense da assai poco tempo, in seguito ad una rivolta contro il presidio militare fiorentino fattovi insediare da papa Leone X, morto l’1 dicembre 1521. Riportare l’ordine e restituire credibilità al governo estense con solo dieci balestrieri al suo servizio si sarebbe rivelato per l’Ariosto un compito impari. Le sue lettere ci restituiscono infatti il racconto di un diuturno confronto con le ‘parti’, ossia appunto le fazioni e col brigantaggio endemico, acuito dai difficili rapporti fra stato estense e stati confinanti (repubblica di Firenze e repubblica di Lucca). Le fazioni erano quella italiana, fautrice di una politica mediceopapale, e quella francese, legata ai Valois ed ai francofili Estensi. Uno dei maggiori timori del commissario era che esse, oltre a poter contare sulla connivenza delle vicarie, avessero ramificazioni extralocali, non esclusa la città e la corte stessa di Ferrara, analogamente con quanto succedeva per le fazioni del vicino Frignano. A ciò si aggiungeva l’amarezza di vedere graziati dal duca banditi e membri delle ‘parti’ e di riscontrare comportamenti violenti e fazionari anche negli ecclesiastici, protetti dai vescovi di Luni e Lucca. In questo la mancata corrispondenza fra confini diocesani e confini dello stato estense costituiva un ulteriore problema per i funzionari ducali.
Il governo con le ‘parti’, anziché contro di esse, voluto dal duca Alfonso I si traduceva poi nell’alternanza di grazia e rappresaglia, contribuendo ad ingrossare il fiume delle malversazioni. L’onore dell’ufficiale e quello del signore di cui egli era l’alter ego in provincia rischiavano così di essere seriamente compromessi. Da ciò gli amari appelli di Ariosto al rispetto delle sue prerogative:

«Se vostra eccellenza non mi aiuta a difendere l’onor dell’officio, io per me non ho la forza di farlo; sarebbe stato quindi meglio provvedere la carica di un candidato più idoneo piuttosto che guastando tuttavia quello che bene o male io faccia si attenuasse la maestà del commissariato» (lettera del 30 gennaio 1524).

Preoccupazioni di ordinaria amministrazione del commissario erano il diffondersi della peste su quei valichi montani, il rischio sempre presente della fame in un territorio avaro di coltivazioni, le controversie fiscali e le dispute di confine per l’utilizzo dei pascoli e il controllo delle vie di comunicazione. Queste ultime gli parevano sottovalutate dal duca, nonostante comportassero il pericolo che le potenze confinanti impedissero il passaggio delle merci e soprattutto del sale, prezioso per le popolazioni in quanto unico conservante in uso all’epoca.

Laura Turchi