Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.

Il corpus ariostesco in Archivio di Stato di Modena

Il 29 gennaio 1598, dopo un tumultuoso trasporto, giungeva a Modena l’Archivio estense, già profondamente segnato da almeno due incendi (1536, 1553). Lo portava con sé, nella nuova capitale scelta per lo Stato estense, il duca Cesare d’Este in base agli accordi fissati con la convenzione di Faenza recepiti nella bolla concistoriale di Clemente VIII (19 gennaio 1598) che decretava definitivamente la devoluzione di Ferrara alla Santa Sede. Del cospicuo fondo facevano parte dispacci e lettere degli “officiali”, i funzionari al servizio dei duchi con varie mansioni.  Tra questi anche Ludovico Ariosto (Reggio Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533). Primogenito, costretto a sostenere la numerosa famiglia alla morte del padre (1500), dovette abbandonare la carriera di letterato per assumere per gli Estensi, in successione, incarichi di capitano della Rocca di Canossa, di segretario del cardinale Ippolito I e del duca Alfonso I, di commissario in Garfagnana, svolgendo anche delicate missioni come oratore ed ambasciatore.

 Dobbiamo ad un liberale ottocentesco e profondo conoscitore delle lettere, la prima, sistematica ricerca degli autografi ariosteschi nell’Archivio estense. Antonio Cappelli, nominato vicedirettore della Biblioteca estense (8 marzo 1860), nella delicata fase in cui dal Palazzo ducale vennero separati l’Archivio e la Biblioteca per trasferirli nelle odierne sedi per la pubblica fruizione (1862), con l’aiuto degli archivisti, tra cui Giuseppe Campi noto patriota dello Stato unitario, poté iniziare a reperire la maggior parte delle carte che oggi compongono il corpus ariostesco conservato nel fondo Cancelleria, Archivio per materie, Letterati. Lo stesso Cappelli col progredire delle scoperte documentarie provvide alla loro pubblicazione con edizioni e scritti a cadenze così ravvicinate (1862, 1864, 1866, 1868, 1875, 1887) da testimoniare quanto grande fosse l’interesse del tempo per Ariosto e con quanto desiderio letterati ed eruditi avevano atteso di poter nuovamente accedere alle carte estensi essendone stati quasi completamente preclusi nel periodo della Restaurazione. In tempi recenti (1965, 1986) il filologo Angelo Stella ha prodotto accurate edizioni critiche inserendo alcuni inediti, anch’essi confluiti nel faldone ariostesco. Esso è attualmente composto di 61 carte autografe, intendendo sia le lettere firmate da Ariosto, sia quelle vergate di sua mano come segretario, comprese tra il 1505 (data attribuita da Gino Badini al documento più antico) e il 1524. Consultare il faldone ha il valore di sfogliare un palinsesto: annotazioni di vari anonimi archivisti databili fino al secolo scorso attestano la continuità con cui è stato implementato attingendo da due fondamentali fondi della Cancelleria, i Carteggi dei rettori dello Stato, Garfagnana e il Carteggio ambasciatori, Roma. La “caccia agli autografi” peraltro dovette estendersi a tutte le parti dell’Archivio estense. Basti considerare l’inserimento di missive redatte da omonimi contemporanei del poeta, come la lettera dello zio prete di Ferrara e quella di un uomo di legge chiamato a giudicare un apparente abuso sessuale, entrambe firmate «Ludovico de Ariosti», estratte da fondi difficilmente individuabili, presumibilmente relativi a religiosi e a casi giudiziari. In occasione della mostra, dal corpus sono emersi a sorpresa due autografi inediti, in latino, concernenti uno dei momenti più drammatici vissuti all’epoca dagli Estensi: la scomunica emanata il 9 agosto 1510 da papa Giulio II contro Alfonso I d’Este per aver rifiutato come suo feudatario di seguire la nuova politica pontificia contro la Francia. Connessi a tale ferale atto che scioglieva i sudditi da ogni vincolo di soggezione al proprio signore vi sono di pugno dell’Ariosto un transunto della bolla papale ed una minuta redatta per conto del cardinale Ippolito I, forse indirizzata al vescovo di Reggio (docc. 33, 34).

Maria Giovanna Calloni Ceretti, archivista presso l’Archivio di Stato di Modena attorno agli anni ’60-’70 del secolo scorso, già ne segnalò l’autenticità con annotazione e firma a biro rossa sulla carpetta contenente gli autografi. Riscoperti, si è ora avviata un’indagine storico-archivistica di approfondimento in collaborazione con il professore di paleografia della Scuola di archivistica Enrico Angiolini. Della bolla pontificia si conservano due copie cartacee, una coeva, un’altra del XVIII secolo. L’originale interdetto è probabilmente andato perduto per volontà degli stessi Estensi: i documenti con clausole pregiudiziali per la loro casata, si è spesso riscontrato, non sono stati conservati, con l’intenzione di lasciare integro il valore positivo dell’Archivio e con esso la memoria prestigiosa della famiglia. Al fine di una piena valorizzazione degli originali esposti si è ritenuto opportuno rimarcarne l’aspetto materiale: del resto il tenore ed il valore dei documenti permangono finché si conservano i supporti cartacei nella loro materialità. L’impronta della forma, il telaio mobile su cui venivano a formarsi i fogli, che resta visibile nella trama degli stessi, così come le filigrane e le contromarche, rappresentanti i marchi di fabbrica e le iniziali dei cartai, sono concreti elementi dei documenti, contribuendo peraltro ad attestarne la genuinità. Dai 61 autografi sono emerse varie figure di marche d’acqua, alcune entro cerchio o doppio cerchio, talune corredate da una contromarca. I disegni, che si ripetono in alcuni fogli, riproducono: àncora con punte uncinate all’interno sormontata da stella a 6 punte (contromarca: lettere P e M separate dal disegno di un trifoglio), Anello con diamante, Angelo benedicente sormontato da trifoglio, Bilancia sormontata da fiore a 5 petali (contromarca: P e M separate da trifoglio), Cappello cardinalizio sormontato da trifoglio, Colomba su trimonzio, Corona, Drago alato coronato, Drago con alte scaglie dorsali, Oca, Testa di bue sormontata da fiore a 5 petali, Tre colonne affiancate. Un segno è ancora da identificare. Alcune filigrane sembrano riferibili alle cartiere situate presso il lago di Garda, versante bresciano, note per rifornire non solo la Repubblica di Venezia, ma anche la Germania meridionale, l’Austria, la Dalmazia e persino l’impero ottomano. Da Salò, è noto, vennero i rifornimenti di carta per ristampare il Furioso in almeno due occasioni, nel 1515 (1.000 risme) e nel 1532 (100 risme). Altre marche d’acqua forse rimandano a cartiere piemontesi. Al tema della materialità-originalità dei documenti allude dunque la scelta di mostrare alcune delle filigrane poc'anzi nominate, riproducendo le impronte di vergelle, filoni e filigrane celati negli autografi dell’ "officiale" estense Ludovico Ariosto.

Patrizia Cremonini