Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.

Il Libro di conto dei balestrieri

Dal febbraio 1522 al 15 maggio del 1525 la mano del poeta, con diligente acribia, prese nota dei pagamenti degli stipendi dei ‘balestrieri’, ovvero soldati a cavallo comandati da un capitano, ma alle dirette dipendenze del commissario Ariosto che vi ricorreva per la difesa dei territori, la cattura dei banditi, le esecuzioni giudiziarie. La paga veniva versata il 15 di ogni mese alla Camera ducale dalle quattro province della Garfagnana, le cui vicarie imponevano, con l’appoggio di un decreto ducale di Alfonso I, che i balestrieri dovessero cambiare ogni anno, per evitare che legami matrimoniali o affettivi creatisi in loco minassero l’imparzialità del loro ruolo. Inoltre, coloro che si fossero assentati dalla Garfagnana per più di venti giorni non avrebbero ricevuto salario. Questo libro di conti fu redatto da Ariosto nella consueta struttura della ‘partita doppia’ del dare e dell’avere, e, oltre ai salari dei soldati, registra le spese sostenute per le casacche con lo stemma degli Este fornite ai balestrieri dalla tesoreria ducale. Siamo dunque di fronte a un prezioso documento autografo che, oltre a costituire una testimonianza unica dell’attività amministrativa dell’Ariosto, ci consente di svelare, se non i volti, i nomi dei cavalleggeri al servizio del commissario negli anni del suo servizio a Castelnuovo. Ariosto giunse nei primi mesi del 1522 con solo dieci balestrieri (normalmente la guarnigione era di dodici) i cui nomi ci sono noti dal ‘conto’ del 20 febbraio di quell’anno. Lo attendeva con ansiosa speranza il capitano spagnolo Johane Navarra che non percepiva il suo salario da cinque mesi. Il poeta regolò subito i conti, registrando con doviziosa precisione il motivo della spesa: «Camara ducale contraxcripta de’ dare adì 15 febbraro lire centotrenta (marchesane) di moneta longa, le quali ha avuto lo spagnolo Cap.no de’ balestreri per suo salario di mesi cinque a libre ventisei per mese.» Lo stipendio mensile del capitano era più alto (26 lire rispetto alle 12 del balestriere semplice) perché prevedeva il sostentamento di un famiglio, un servitore alle sue dipendenze. Anche le carte del libro lasciano trasparire, dietro la fredda oggettività delle note di conti, l’umanità inquieta di Ariosto, continuamente chiamato a mediare tra le vicarie preoccupate di risparmiare sulle spese e reticenti a versare denaro alla Camera ducale per gli stipendi, il Duca che si attendeva dal poeta l’ordine e la stabilità del territorio senza troppo preoccuparsi del “come”, e le richieste dei soldati con le loro giuste esigenze economiche e affettive. Non poteva il cantore della perdita del senno di Orlando per l’amore di Angelica non comprendere le ragioni di due suoi balestrieri - Bigo da Imola e Zan da Piasenza - che si erano fatti una moglie e una famiglia in Garfagnana e, dovuta lasciare la guarnigione nell’ottobre del 1522 per la permuta annuale decretata dal Duca, anelavano di farvi ritorno. Il poeta prese in mano la penna e scrisse al segretario del Duca il 2 ottobre del 1522 [11]:

«[…] io ‘l confesso ingenuamente, ch’io non son homo da governare altri homini, ché ho troppo pietà, e non ho fronte di negare cosa che mi sia domandata. Li balestrieri che seranno exhibitori di questa son dui homini da bene e bene in ordine e valenthomini; quanto gli ho saputo imputare è che hanno moglie in questa terra: io li raccomando a vostra Magnificentia che faccia che non perdano il lor loco.»

 

E il Duca non dovette resistere alla forza persuasiva del letterato, visto che i loro due nomi compaiono negli stipendi anche per l’anno successivo.

          Loredana Chines

 

Questa carta contiene l’unica “svista” di Ariosto nel suo libro di conti: ripete per due volte la nota di pagamento mensile di lire 134 agli undici balestrieri del 15 gennaio 1524. Accortosi dell’errore cancella la ripetizione, annotando sul margine sinistro «replicata».