Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.
Ariosto fra tipografi ed editori del suo tempo
Più di trecentosessanta furono le edizioni italiane di Ludovico Ariosto nel Cinquecento, comprese quelle, italiane nella lingua ma pubblicate in Francia, apparse a Parigi e a Lione. La maggior parte delle stampe uscì nella più fiorente capitale del libro volgare del Cinquecento, ossia Venezia, dove editori come Vincenzo Valgrisi, lo Zoppino, Valvassori, Bindoni e Pasini ma soprattutto i Giolito de Ferrari assicurarono ai lettori europei continue riproposte delle opere ariostesche. Il Furioso fece gemere i torchi anche in altri centri di produzione del libro italiano nel Rinascimento, dalla Milano di Scinzenzeler alla Roma dei Blado e alla Firenze dei Giunta e di Lorenzo Torrentino.
Nella sua Ferrara l’editio princeps del Furioso fu preparata dal tipografo Giovanni Mazzocchi da Bondeno nel 1516. Dopo la riproposta di Giovanni Battista Della Pigna nel 1521, Ariosto conobbe, e assai da vicino anche nel suo farsi, solo una terza edizione, «per maestro Francesco Rosso da Valenza» nel 1532, la quale dichiarò sul frontespizio come il poema fosse stato «nuovamente da lui proprio corretto e d’altri canti nuovi ampliato».
Fra tutti gli editori furono i Giolito de Ferrari, originari di Trino, presso Vercelli, a svolgere un ruolo preponderante nel definire la fisionomia editoriale del moderno classico e nel diffondere l’opera e l’immagine di Ariosto attraverso il libro. Dal suo sontuoso palazzo a Trino Giovanni Giolito, scomparso nel 1539, fu editore del Furioso, finito di imprimere a Torino nel gennaio del 1536. La princeps giolitina del poema cavalleresco, contenente al frontespizio il celebre ritratto d’Ariosto, nacque da un’associazione sui generis tra tre stampatori –Martino Cravoto, Francesco Robi ed Eustache Hébert – e uno dei maggiori mercanti librai ed editori capitalistici dell’Europa del suo tempo. Alla sua morte Giovanni consegnò, non senza gli strascichi di liti tra gli eredi di un rilevante patrimonio, al ben più celebre figlio Gabriele un’attività assai florida dal punto di vista economico e ramificata in tutta Europa, da Torino a Pavia, da Venezia a Lione. Il baricentro si spostò da Trino a Venezia e proprio con Gabriele, ossia sino al 1578, la fortuna di Ariosto – autore di punta nel catalogo della casa della Fenice – in tipografia assunse dimensioni ragguardevoli. Le stampe furono smerciate dalla rete commerciale di Giolito, che seguì il policentrismo culturale italiano, e raggiunse cinque importanti città della penisola: oltre a Venezia, Padova, Ferrara, Bologna e Napoli. Sono non meno di 45, tutte veneziane, le riproposte editoriali ariostesche prodotte dall’impresa giolitina: almeno 27 hanno ad oggetto il Furioso, ininterrottamente messo sotto i torchi dal 1542 al 1560, in poco meno di vent’anni. Altre manifestazioni editoriali offrirono ai lettori e alle lettrici di Ariosto le Rime e le Satire, talvolta pubblicate unite, e le commedie.
Gabriele Giolito promosse il successo di Ariosto anche fuori dall’Italia, dove il Furioso fu tradotto in castigliano da Jeronimo de Urrea (1513-1565) e curato da Alonso de Ulloa. Abile nel condurre mirate strategie nelle dediche di edizione, anche dopo la tiratura Giolito seguiva da vicino il destino dei propri libri, inseriti nei canali del patronage letterario e politico, ben posizionati sullo scacchiere europeo. La sua lettera inedita, scritta il 23 giugno 1542 e inviata ad Ercole II duca di Ferrara in accompagnamento a una copia omaggio del Furioso fresca di stampa, ne è prova evidente.
Come Giolito, altri editori del Furioso quali Vincenzo Valgrisi, fecero leva sulla dedica e sull’ambiente cortigiano estense, pure attraverso abili mediatori editoriali come Girolamo Ruscelli, per assicurare il successo alla propria stampa. Consapevoli della necessità di proteggere l’opera letteraria dinanzi alla sua incontrollabile circolazione, editori ed autori fecero fronte comune a comune pericolo. Ariosto fu tra i primi autori, com’è noto, a richiedere la concessione del privilegio per i propri scritti. Il privilegio, strumento giuridico che intendeva definire il prodotto artigianale e protoindustriale, compreso il libro, assicurandone individuazione e riconoscibilità certe, mirava a tutelare i detentori di vantaggi economici da esso derivati, in primo luogo i librai, i tipografi e gli editori. Con gli autori anche i traduttori divennero presto titolari di una particolare forma di privilegio, detto letterario. Esso non implicava alcun concetto di proprietà letteraria, introdotta solo con la Rivoluzione francese, ma a coloro che vivevano della propria penna offriva la facoltà esclusiva di far stampare o di commercializzare la loro opera entro un preciso termine cronologico e spaziale, tutelato dall’autorità che concedeva il medesimo privilegio. Ottenere la concessione di un privilegio certo non garantiva il mondo del libro da concorrenza sleale, fatta di ristampe abusive, contraffatte o meno, delle opere di maggior successo, fra cui anche il Furioso, oggetto di edizioni pirata dal 1524 al 1531, vivente Ariosto.
Paolo Tinti
[a] Con missiva autografa – e inedita – Gabriele Giolito de Ferrari (1508 ca.-1578) fa dono al duca d’Este di una copia della propria edizione dell’Orlando furioso, apparsa nel 1542 a Venezia con la dedica al Delfino di Francia, che nel 1547 sarebbe salito al trono, ereditato dal padre Francesco I, con il nome di Enrico II. L’edizione, che rappresentò un punto di svolta nell’intero catalogo giolitino, fu licenziata poco dopo il 31 maggio 1542, data della dedica a Enrico di Valois. Giolito, con tempestività eccezionale, dichiara per lettera al nipote del cardinale Ippolito la sua «affettione… all’immortal nome di M. Lodovico Ariosto» e «la servitù… con la Sereniss[im]a casa di Francia», siglate dall’impresa editoriale. Nel rendere omaggio al duca Ercole II, si chiude il cerchio di una estesa rete di protezioni politiche e culturali che alla Ferrara di Ariosto e degli Estensi unisce la Francia di re Enrico figlio di Francesco I, cognato di Renata di Francia, moglie dello stesso Ercole II. Giolito intraprendeva così un percorso culminato nel 1560, quando fu avviata la trattativa – mediata da Girolamo Falletti – con Alfonso II per affidare all’editore di Trino una stamperia ducale da allestire in Ferrara. La lettera, oltre a consentire una datazione assai precisa della pubblicazione del Furioso, uscito tra il 31 maggio e il 23 giugno 1542, prepara il terreno alla filiale ferrarese dei Giolito, sinora datata al 1545, la prima aperta dall’imprenditore librario fuori da Venezia.
[b] Riaffiora l’originale di una missiva, considerato perduto da coloro che si sono accostati in anni recenti all’edizione delle lettere di Girolamo Ruscelli (1518 circa-1566). Letterato di tipografia, particolarmente versato negli studi grammaticali, Ruscelli fondò a Roma l’Accademia dello Sdegno e si trasferì a Venezia nel 1548, forse per cercare un impiego come pedagogo. Qui si diede a fruttuose collaborazioni con il vivace e turbolento mondo dell’editoria, per cui curò testi ed allestì numerose edizioni. Nella laguna entrò inevitabilmente in competizione con Lodovico Dolce, principale collaboratore di Gabriele Giolito, ai cui occhi volle non solo screditare lo stesso Dolce ma pure porsi quale suo più degno sostituto. Compilatore di fortunate antologie di lettere e di rime, curò e annotò edizioni di classici italiani, fra i quali Petrarca, Boccaccio e Ariosto. Proprio alla prima edizione del Furioso prodotta da Vincenzo Valgrisi con il commento di Ruscelli, uscita a Venezia nel 1556 in due formati (in 4° e in8°), fa riferimento la lettera qui esposta. Ruscelli comunica a Giovanni Battista Pigna (1529-1575), umanista e segretario del duca Alfonso II d’Este, l’avvenuta conclusione della pubblicazione e la ripresa del lavoro corretorio per una imminente riproposta, che infatti apparve l’anno successivo. Proprio su suggerimento di Pigna, che stese la vita dell’Ariosto annessa al volume, Ruscelli individuò Alfonso II come dedicatario dell’edizione. Per suo conto Ruscelli – che figurò curatore di ben 16 riproposte, anche postume, del Furioso presso Valgrisi e suoi eredi, impresse sino al 1587 – corredò le stanze del poema ariostesco di «Annotationi, gli auuertimenti, & le dichiarationi», annunciate sin dal frontespizio. Per lettera Ruscelli dichiara che la stampa è stata preparata da messer Vincenzo «così in ottavo come in quarto, tanta calca ha di librari di qui, et di fuori, et tanti particolari che glielo chieggono». La copia ottocentesca del modenese Antonio Cappelli (1818-1887), editore e vicesegretario della Biblioteca Estense, fu tratta in ragione del suo lavoro di curatela per la prima edizione delle Lettere di Ariosto (Modena, 1862) e per le integrazioni successive, sfociate nell’edizione, terza, definitiva (Milano, 1887). Analoga copia (oggi in BEU, ms. it. 2487/beta.32.33) è stata impiegata quale base per l’edizione moderna (G. Ruscelli, Lettere, Manziana, 2010, n. 23).
[c] Esponente di una delle più nobili e autorevoli famiglie della Ferrara ducale, Ercole Turchi svolse un ruolo non secondario nel fornire al duca d’Este preziose notizie circa i privilegi letterari associati alla traduzione in castigliano del Furioso, dovuta alla penna di Jerónimo de Urrea (1513-1565 ca.), scrittore e uomo d’armi spagnolo. Nel biglietto, autografo di un membro dell’illustre famiglia ferrarese dei Rossetti, al momento non identificato, è trascritto il testo della «patente che ricercha d[ett]o hyeronimo d’Urrea». Vi è riportato il dettato originale, in castigliano, del privilegio concesso dal Re di Spagna allo stesso Urrea, «cavagliero Arragonese», di stampare e vendere in esclusiva, nel termine di dieci anni dalla concessione, la propria traduzione «de Orlando Furioso… de Italiano en espanól», senza ordine o disposizione del titolare del privilegio, in conformità con analogo privilegio «para el estado del S.r Duque de Ferrara». Il privilegio concesso da Carlo V fu con ogni probabilità richiesto in vista della prima edizione della traduzione di Urrea del poema ariostesco, apparsa ad Anversa nell’agosto 1549 per i tipi di Martin Nutius. Urrea, come attestato dalle ricerche di Angela Nuovo, aveva ottenuto simile privilegio anche dalla Serenissima Repubblica di Venezia in data 23 luglio 1549, alcuni anni prima che vi uscisse la princeps, edita da Giolito nel 1553. La giolitina fu la prima edizione, apparsa in Italia, della traduzione di Urrea.