Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.

Ariosto regista

L’unica lettera – certo autografa – a noi giunta di Angelo Beolco, che significativamente qui si firma col nome d’arte o di scena di Ruzante, fu segnalata e pubblicata per la prima volta da Campori nel 1896 e poi più volte citata e pubblicata sia da studiosi di Ariosto che di Ruzante (edizione annotata in Ruzante, Teatro). La commedia di cui non si specifica, nella lettera, il titolo fu dapprima identificata con l’Anconitana da Emilio Lovarini, poi e comunemente, soprattutto da Zorzi, con La Piovana, una delle due commedie tratte da Plauto che appartengono verosimilmente all’inizio degli anni trenta. Per le due commedie plautine Ruzante chiede il privilegio di stampa – senza poi realizzare il suo progetto – al Senato veneziano in data 15 dicembre 1533. L’identificazione con una di esse si rende evidente poi, oltre che per ragioni cronologiche, per il cenno che la lettera contiene al grande numero degli attori richiesti, ben compatibile con l’organico ampio di queste, e a quello agli abiti, molti e adorni, poco perspicuo per commedie contadinesche e a organico ridotto. La commedia di Ruzante – come si deduce da altra fonte (che però non ne specifica il titolo) – andò in scena il 10 febbraio di quell’anno e ad essa seguì una riproposta della Cassaria dell’Ariosto (cfr. Zorzi, p. 30).

Una proposta differente identifica la commedia con l’altra plautina, La Vaccaria, che alterna il pavano all’italiano e che contiene delle specifiche allusioni ferraresi: in particolare il cenno alle recite di commedie “a Palazzo” e un riferimento ai Meneghi, evidente allusione ai fortunatissimi Menichini secondo il titolo del volgarizzamento dai Menaechmi lungamente rappresentato a Ferrara (cfr. Vescovo). Da altre fonti sappiamo della presenza di Ruzante a Ferrara già nel 1528 e quindi nel 1529 per l’intero carnevale: la Moschetta fu rappresentata dopo i tradizionali Menichini e dopo la coppia delle ariostesche La Lena e Il Negromante: nei rispettivi prologhi si allude al cambio di destinazione ambientativa di una stessa scenografia di fondo, prima Ferrara, poi Cremona e infine Padova. Un dettaglio che forse risulta illuminante per il cenno contenuto nella presente lettera. Il motivo di principale interesse di essa – nella dichiarazione di un rapporto di confidenza – risiede infatti nel cenno al fatto che Ariosto, nel 1532 – il letterato di grandissimo prestigio giunto al terzo Furioso - sia implicato per fare acconciar la scena. Il cenno indica il ruolo di responsabile del teatrino di corte a cui si lega la sua lunga pratica teatrale, che non si esaurisce nella scrittura dei testi, come conferma questo cenno alla direzione dell’allestimento, qui intesa evidentemente nella caratterizzazione ai fini delle specifiche, diverse, esigenze della commedia da rappresentarsi del consueto tribunal ferrarese: un palco in legno con casette allineate, a garritta e praticabili, che ci viene descritta da numerosi resoconti a partire dal 1486, sia per gli allestimenti in spazi aperti che al chiuso, nella sala delle udienze del Palazzo della Ragione, e che si deduce essere la struttura medesima del teatrino di corte a cui si collega la pratica ariostesca. Una fondazione di questo tipo di scenografia – completamente diversa dalla prospettiva dipinta di città – è stata rintracciata proprio nelle ipotesi ricostruttive della scena antica (probabilmente con l’influsso di una cattiva interpretazione di un passo di Vitruvio, che trasforma l’ornamento delle antiche porte del frons scenae in edifici ornati) nel trattatello, Spectacula, dedicato ai luoghi di spettacolo da Pellegrino Prisciani, composto dopo il 1486, su istanza di Ercole I d’Este, conservato alla Biblioteca Estense di Modena (alfa. X.1.6 - Lat. 466). Un’immagine riconducibile in forma semplice e diretta al palcoscenico ferrarese si ritrova proprio in uno schizzo originale in testa a una commedia di Ruzante, La Betìa, anche se appartenente a una data precedente a quella dell’attestata presenza del Beolco a Ferrara (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, ms. It. XI 66 = 6730, c.173v.). Un’immagine che testimonia – all’altezza degli anni venti – il riferimento centrale nell’Italia settentrionale, e non solo nelle corti padane, al palcoscenico inventato qualche decennio prima a Ferrara, certo la città più importante in una prima fase per la rinascita della commedia e del sistema rappresentativo.

Giuseppe Campori, Notizie per la vita di Lodovico Ariosto, Sansoni, Firenze, 1896; Ruzante, Teatro, a cura di Ludovico Zorzi, Torino, Einaudi, 1967; Ludovico Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 5-59; Piermario Vescovo, Il villano in scena. Altri saggi su Ruzante, Padova, Esedra, 2006, pp. 75-92.

          Pier Mario Vescovo