Il Segno di Ariosto. Autografi e carte ariostesche nell'Archivio di Stato di Modena.
Le armi e i cavalier io canto. Cronache di scenografie teatrali alla Corte degli Este.
La biblioteca degli Este a Ferrara testimonia nel suo farsi il processo di costituzione del classicismo umanistico. In essa, tuttavia, i volumi si accumularono più per la funzione d’uso che per quella decorativa, e in primis per le necessità della vita quotidiana (usi medici, giuridici, devozionali). Ma tra queste funzioni d’uso va annoverato certamente anche lo svago e l’intrattenimento: a Ferrara si coltiva infatti la grande tradizione del romanzo di cavalleria (in francese e in volgare), che trova qui i suoi indiscussi ‘paladini’ in Boiardo e Ariosto. Il piacere della lettura, privata o pubblica, scandisce il ritmo quotidiano del tempo libero a corte; qui più che altrove, come ha scritto Amedeo Quondam: «l’economia comunicativa del libro cortigiano si iscrive in una dimensione autoreferenziale.»
Ma a Ferrara la corte elabora anche uno spazio scenico che verrà sfruttato in diverse occasioni: feste, cerimonie e opere teatrali. In particolare, gli artisti ferraresi, specialisti nell’architettura degli effimeri e nella decorazione naturalistica e fantastica, creano un nuovo genere letterario, quello della favola pastorale che, rielaborando il topos mitico dell’Arcadia tramandato dall’ecloga virgiliana, tiene insieme la favola bucolica e la festa cortigiana declinata nelle sue molteplici esperienze (torneo, rappresentazione mitologica, banchetto allegorico). Alcuni documenti ci offrono un’importante testimonianza di questo genere in cui la parola sostanzia il registro dell’immaginazione fantastica e della scenografia teatrale; tra questi spiccano le Cavallerie minuziosamente descritte da Agostino Argenti, redattore delle cronache delle feste del 1561 e del 1566 (Le Cavalerie della città di Ferrara che contengono il Castello di Gorgoferusa, il Monte Feronia e il tempio d’Amore, Ferrara, 1566). Si tratta della cronaca di due rappresentazioni che – già edite dall’Argenti, poeta attivo alla corte degli Este nei primi decenni del XVI sec. – si svolsero nel Carnevale del 1561 in occasione dell’assunzione al Cardinalato di Luigi d’Este. L’attribuzione delle singole opere è controversa: già il Tiraboschi attribuì al Pigna la terza operetta, il Tempio d’Amore (scritto per le nozze di Alfonso II con Barbara d’Austria), che riporta la fastosa allegoria eseguita da 100 gentiluomini nel giardino della corte estense l’11 dicembre 1565. Le prodezze spettacolari descritte nell’opera erano in realtà il frutto di un complesso lavoro di équipe sapientemente orchestrato dal Pigna e in essa si dispiegano i simboli della più fortunata immaginazione mitologica estense e insieme l’apogeo della propaganda popolare nella migliore tradizione ducale. Lo Cavalleria si rifà alla tradizione dell’antico torneo medievale e comprende varie fasi (la sfida, il corteo dei partecipanti, il combattimento, il banchetto finale) che si svolgono in vari giorni e in più luoghi della città: lo spazio scenico della rappresentazione si dilata come attraverso un gioco multiplo di specchi, tra il plauso collettivo al potere signorile, che si esalta nello sfarzo dei costumi e nell’ostentata eleganza. Non a caso le relazioni dell’Argenti si dilungano minuziosamente sulla lista dei partecipanti e sulla descrizione delle armature e delle insegne. Anche lo spazio scenografico è degno di rilievo: per il Castello di Gorgoferusa fu allestito un teatro nel cortile maggiore del Palazzo Ducale capace di contenere 10.000 persone, riutilizzato poi anche per il Monte Feronia; il Tempio d’Amore, invece, per la maggiore solennità della festa nuziale, fu rappresentato nel cortile della Duchessa. A tutto ciò si accompagnava un fastoso spettacolo scenico, arricchito da musiche e da una grande quantità di macchine teatrali ed effetti speciali (fuochi artificiali, voragini, terremoti), il tutto su un fondale dipinto posto in scena con vari edifici riservati alle distinte fasi del torneo. Questa sontuosa rappresentazione scenografica ben si comprende solo se si conosce la tradizionale e versatile peculiarità degli artisti ferraresi, chiamati ad essere pittori, architetti di effimeri, scenografi di giardini e decoratori, e dunque straordinari inventori di materiali scenici cortigiani. Per il Monte di Feronia si approntò un apparato dove a predominare erano gli elementi naturalistici, che si era persino pronti a rimodellare ai fini dell’ottima riuscita della performance teatrale: è il caso, ad esempio, del Tempio d’Amore, destinato a festeggiare le nozze degli illustri sposi, per la cui augusta occasione il giardino della Duchessa fu spianato e matonato al fine di costruirvi un teatro semicircolare a gradinate con il proscenio rivolto alle camere ducali e, come riportano le cronache del tempo, tutte unanimi nelle lodi, «tanto studiato, bellissimo certo di spesa e di apparato e di fuochi lavorati […]». Questa opulenza quasi manieristica degli apparati scenici ferraresi – la cui fama perdurerà anche nei secoli successivi – è prodotto degno della grandiosità della committenza ducale, che rideclina attraverso prodotti unici, spettacolari e figurativi una tradizione antica.
Rosa Lupoli
[B] Le carte mostrate sono tratte dal canto XLIII dell'Orlando Furioso; una straordinaria illustrazione a tutta pagina ci proietta in una visione aerea delle catene montuose che innervano l’Italia, dalle Alpi (in basso, appena visibili) agli Appennini (questi ultimi scorrono in una linea obliqua da Nord a Sud, davanti ai nostri occhi, fino all’orizzonte rappresentato dalla ricca cornice superiore dell’immagine). Il tema è quello del viaggio di Rinaldo, per terra e per mare, da Argenta a Ravenna a Ostia, dal Po (a sinistra) sino al mar Tirreno, per raggiungere Orlando. L’immagine aerea, tipica della riproduzione cartografica, viene resa dall’illustratore come un volo (e come uno sguardo) sopra le cime d’Italia, ad altezze inimmaginabili, in groppa a un fantastico ippogrifo. L’idea dello spazio, che la mostra valorizza presentando mappe e carte geografiche dei territori ariosteschi, qui si trasfonde in un’idea incantata del viaggio: uno dei vettori del poema, dove l’incontro con la natura non è sempre minacciato da eventi o creature ostili, ma è accompagnato dalla opere dell’uomo e dalle meraviglie del paesaggio.