La biblioteca di Carducci: i classici italiani fra XIII e XIV secolo

Postillati

Dalla disamina dei volumi di e su Boccaccio conservati a Casa Carducci, si è scelto di mostrare l’edizione del Decameron di Giovanni Boccaccio corretto ed illustrato con note. Tom. 1 perché è l’edizione che conserva le postille carducciane più utili ad approfondire il metodo dello studioso, intento ad analizzare le lezioni tradite, al fine di rintracciare la versione più corretta del testo (metodo già osservato per le edizioni postillate di Dante e Petrarca). Quest’opera fu pubblicata a Firenze presso l’editore Magheri nel 1827 e, come si vede più sotto nella riproduzione della nota di possesso apposta a penna sul recto della carta di guardia, Giosue Carducci comprò «queste opere volgari del Boccaccio in Firenze su la fine d’agosto 1863 dal Dotti per ln. 40». 

Si tratta dell’edizione del Decameron divisa in cinque tomi, in cui si conservano annotazioni a matita e sottolineature di mano di Carducci, principalmente sul testo del primo tomo. Come in altri casi, anche qui la natura delle postille è di tipo filologico-linguistico, come ad esempio le due annotazioni apposte a p. 43 nel margine inferiore. La prima delle due postille carducciane è relativa alla novella del Decameron che racconta la vicenda di Ser Ciappelletto, ossia la novella I della prima giornata. La nota autografa recita: «vita eterna, alla quale acquistare insegna la santa scrittura». È nella scia delle annotazioni di Giovanni Gherardini (Appendice alle grammatiche italiane dedicata agli studiosi giovinetti da Giovanni Gherardini, in seconda edizione ripassata dall’autore e pubblicata a Milano nel 1847, pp. 238-240) che Carducci segnala l’errore di tradizione (alla per a la) che aveva generato uno stravolgimento di senso del passo in questione. 

Analogo il problema indicato da Carducci nella seconda postilla collocata nel margine inferiore della pagina (come si vede nella riproduzione della p. 43 del Decameron del 1827 riportata più sopra). Nell’appuntare due passi del Ninfale Fiesolano, rispettivamente 56 e 335 («saziare “Non si potea della ninfa guardare” Ninf. Fies. 56, e ivi 335 “Non son più degna del dardo portare”»), Carducci richiama ancora una volta indirettamente le chiose di Gherardini, che, appunto a proposito di quei due luoghi dell’opera, aveva segnalato errori di trasmissione, di nuovo dipendenti da una sbagliata grafia delle preposizioni. Così la prima nota di Gherardini, a p. 239 dell’Appendice: «E un sì dolce disio, che già saziare. Non si potea DE la ninfa mirare (Cioè, Non si potea saziare DE, idest DI, mirare la ninfa. Lo stampato ha congiuntamente DELLA ninfa; e così fa dire uno strafalcione al Boccaccio.)» (GHERARDINI, Appendice alle grammatiche, 1847, p. 239). E questa, di seguito, la seconda chiosa: «Né son più degna DE l’arco portare. (Cioè, Né son più degna DE, idest DI, portare l’arco. E qui parimente erra lo stampato, congiungendo la preposizione DE, posta a legare insieme degna con portare, mentre che l’articolo l’ si concorda con arco, oggetto di esso verbo portare, e non ha che far cosa del mondo con la preposizione DE, usata dagli antichi per lo stesso che DI. In qualche altra edizione si legge Non son più degna DEL dardo portare; laddove legger si dovrebbe Non son più degna DE ’l o D’ el dardo portare, cioè Non son più degna DI portare il dardo: e che el per il si dicesse dagli antichi non ci ha forse persona che lo ignori)» (ivi, pp. 239-240).