La biblioteca di Carducci: i classici italiani fra XIII e XIV secolo

La biblioteca di Carducci: l’amore per il libro

Nell’Introduzione al volume LXII degli Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, Albano Sorbelli (Fanano 1875 – Pavullo nel Frignano 1944), direttore dell’Archiginnasio di Bologna, scrisse che Carducci «ebbe per i libri durante tutta la sua vita, dai primi anni, sino alla morte, più che un affetto, una religione» (SORBELLI, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, 1936, vol. LXII, p. I) e che «pochi sentirono il libro, il bel libro, il libro raro, come il Carducci» (ivi, p. X). Queste parole sono fondamentali per comprendere fin da subito la grande cura che il poeta riservò al libro, giustificando così la mole di volumi che egli riuscì a collezionare durante la sua vita.

L’amore per questo oggetto così prezioso scaturì nell’animo di Carducci fin dalla fanciullezza, grazie alla figura del padre Michele. Come scrisse in una lettera a Cesare Cantù il 21 dicembre 1884: «Io cominciai a legger, ragazzo di dieci anni, in un paesetto della Maremma toscana la Storia universale» (CARDUCCI, Lettere, Edizione Nazionale, 1938-1968, 22 voll., [d’ora in avanti LEN], vol. XV, p. 75). E fu proprio da quelle prime lezioni a Bolgheri che Giosue si appassionò allo studio e alla letteratura latina e italiana. Poteva allora apprendere dai libri che il padre aveva collezionato negli anni e raccolto in una discreta libreria. Quella biblioteca fu definita da Carducci come una librerietta più che passabile per un medico di Maremma: in essa si riflettevano le predilezioni classico-romantiche e quelle rivoluzionarie del padre di Carducci e qui Giosue poté voracemente impegnarsi nelle prime letture e avvicinarsi a testi come quelli dell’Iliade, dell’Odissea, dell’Eneide, della Gerusalemme liberata, della Storia romana di Charles Rollin e della Storia della Rivoluzione francese di Adolphe Thiers. Si può immaginare che fu proprio da quel primo incontro con i libri, che proruppero l’amore e il rispettoso legame per «quegli antichi compagni de’ miei sogni e de’ miei pensieri» (TAVONI, "Quegli antichi compagni de miei sogni e de miei pensieri", in Carducci e Bologna, 1985, p. 125), come li ebbe a definire Carducci stesso.

Giosue crebbe quindi con un’idea molto precisa di biblioteca privata: secondo lui, doveva essere «destinata a divenire un elemento significativo, una parte integrante della sua vita e della sua attività: strumento di lavoro, certo, ma soprattutto strumento di un rapporto nel quale si realizza la ragion d’essere della vita stessa» (ibidem). Ed è proprio ciò che riuscì a fare il professore: nella sua libreria oggi «si riflette tutta la vita del poeta nella sua pienezza: il pensiero, gli interessi e le passioni, il lavoro intellettuale e i sentimenti, ma anche le condizioni materiali, e, perché no?, l’ambiente, cioè Bologna e la società italiana nella sua realtà e nelle sue trasformazioni, nel suo crescere e nelle sue contraddizioni» (ivi, p. 128). 

Quando Carducci si trasferì, nel maggio 1861, con tutta la famiglia in un piccolo appartamento in via Broccaindosso 20 (allora al numero 777 del rione di Santa Maria dei Servi) per ricoprire la carica di professore di Letteratura italiana all’Università, aveva già collezionato un bel numero di volumi che aveva comprato sulle bancarelle fiorentine. Ma, l’incremento più grande della sua libreria si raggiunse solo in seguito: l’11 luglio del 1877 scrisse a Lidia: «Sai che ora ho veramente una raccolta di bei libri; e li vado sempre più depurando, e allogandoli meglio? Ma avrei bisogno di due o tre stanze messe bene» (LEN, vol. XI, p. 144). Nel frattempo, infatti, nel 1876 il professore era passato dalla sua casa di via Broccaindosso alla nuova abitazione di via Mazzini e qui lo spazio dedicato ai volumi della sua libreria iniziava già ad essere consistente (BARBIERI, Parole in Casa Carducci, «Il Carrobbio», XXV, 1999, pp. 227-246). Risalgono però agli anni Ottanta gli acquisti più numerosi, fatti principalmente dalle diverse librerie bolognesi e non solo, come si può evincere dalle note di possesso apposte sui fogli di guardia dei volumi o dallo schedario redatto da Carducci stesso con l’aiuto del genero Gnaccarini, conservato ancora oggi sulla scrivania del suo studio presso la Casa Museo. Così, solo alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, la sua biblioteca raggiunse una dimensione consistente e quando, nel 1890, Carducci decise nuovamente di trasferirsi, cercò una casa che potesse ospitare la gran mole di volumi che aveva messo insieme. L’abitazione di via Mazzini era ormai troppo piccola per contenere quei libri e trovò un luogo adatto ai suoi preziosi amici nella villa che oggi ha sede in piazza Carducci, 5 (allora via del Piombo), nell’appartamento al secondo piano. 

Appena vide questo palazzo, Carducci ne fu colpito: l’appartamento che si trovava al suo interno era «vasto e luminoso, quanto i […] volumi [allora posseduti] della sua biblioteca [pretendevano]» (ivi, p. 240). Il professore pensò subito ad occuparsi, ancora prima che al trasloco del mobilio, al trasporto dei libri, per lui il materiale più importante per arredare la nuova abitazione. Quest’ultimo avvenne tra il 2 e il 3 maggio 1890 per lire 75, come si legge da una dettagliata fattura del 17 maggio a firma del falegname Alessandro Lodi e del trasloco si occuparono Giacomo Zanichelli e Alberto Bacchi della Lega, collocando i volumi della sua biblioteca secondo una disposizione data dal poeta stesso. Al suo ritorno da una breve sosta a Roma, i libri accolsero Carducci disposti su una serie di scansie che coprivano le pareti di tre stanze. E ancora oggi l’impatto del visitatore che entra in questi luoghi è lo stesso che deve aver avuto il professore: «l’impressione è quella di entrare in una biblioteca piuttosto che in una casa» (Visitando Casa Carducci, 2009, p. 23) ed è così che Carducci volle consegnare al mondo la sua abitazione.