La biblioteca di Carducci: i classici italiani fra XIII e XIV secolo

Postillati

Il lavoro che Carducci svolse in merito alla lirica dei rimatori del Due-Trecento, con uno sguardo particolare a Guittone d’Arezzo, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, non fu soltanto finalizzato alla stesura degli appunti preparatori per le lezioni universitarie, ma anche a un vero e proprio studio sulle poesie. Sono infatti due i volumi che Giosue pubblicò su questa materia: il primo è il già ricordato Rime di m. Cino da Pistoia e d’altri del sec. XIV, ordinate da G. Carducci, edito nel 1862 presso l’editore Barbèra di Firenze; il secondo fu pubblicato nel 1907 presso G. C. Sansoni Editore di Firenze con il titolo Antica lirica italiana (canzonette, canzoni, sonetti dei secoli XIII-XV).

Come si legge dalla Prefazione di questo secondo testo, Carducci descrive l’obiettivo del suo lavoro sulla lirica del Due-Trecento dicendo: «Bel disegno era, senza dubbio, il mio, e utile agli studi dell’erudizione storica e dell’arte; ma così ampio, che nella pratica attuazione mi trovo ora costretto a contentarmi di una parte soltanto. Pur questa do in luce, convinto che possa giovare assai nelle scuole d’Italia e fuori: perché il trovare insieme raccolte cose belle e testimonianze curiose, l’avere in pronto una gran materia dottrinale e storica ed estetica, fu desiderio, per lunghi anni, di me studioso della lirica nostra antica, e di me insegnante; e so che è desiderio di altri molti, studiosi e insegnanti, italiani e stranieri» (CARDUCCI, Antica lirica italiana, 1907, p. III). Il professore prosegue poi illustrando il modus operandi adoperato nella scelta del testo da porre come versione definitiva al volume: «divisavo, sotto il titolo di Antica lirica italiana, comporre una antologia, critica sì, ma non rigidamente costrutta su ciò che dicesi apparato; tale che, dalle stampe migliori, e talvolta dai testi a penna, con le debite cautele e correzioni, porgesse quanto di più importante si ha di rime nostre nei secoli dal XIII al XV» (ibidem). Dunque, una ricerca e una scelta indirizzata alle edizioni migliori, quelle che conservavano il testo nella forma più corretta e che fossero un giusto specchio del percorso di formazione della lezione, del componimento e del libro in sé.

Per pubblicare queste edizioni Carducci si servì, oltre che dei volumi che poteva reperire e consultare presso le maggiori biblioteche d’Italia, su tutte quelle di Firenze e di Bologna, anche e soprattutto dei libri che era riuscito a collezionare nella sua libreria personale. E per capire il metodo di lavoro dello studioso, tenendo conto della sua attenzione alla versione ritenuta migliore del testo, non bisogna trascurare due volumi presenti ancora oggi nella sua biblioteca e postillati dal professore, esempi di un cantiere di studio sempre aperto.

Il primo testo è di Guido Cavalcanti e si intitola Rime di Guido Cavalcanti edite ed inedite aggiuntovi un volgarizzamento antico non mai pubblicato del comento di Dino del Garbo sulla canzone Donna mi prega per opera di Antonio Cicciaporci, pubblicato a Firenze nel 1813. Per quanto riguarda la prima parte delle Rime di Guido Cavalcanti già edite, i margini delle poesie sono disseminati di postille – scritte a matita da Carducci stesso – che riportano delle varianti linguistiche ai versi di Cavalcanti riprese dal Ms. Chigiano L. VIII. 305, come indica la sigla «Chy» apposta da Carducci, di cui in un solo caso vi è l’espressione per esteso. A titolo di esempio si forniscono le riproduzioni delle postille ai sonetti I «Voi che per li occhi mi passaste al core» (testo di riferimento: c.57v del codice Chigiano L. VIII. 305) e VII «Era in pensier d’Amor, quand’io trovai» (testo di riferimento: c.3r del codice Chigiano L. VIII. 305) delle Rime di Guido Cavalcanti già edite.

Lo stesso metodo si trova anche in un altro testo conservato nella Biblioteca di Casa Carducci, ossia le Rime di diversi antichi autori toscani in dodici libri raccolte, pubblicato da Simone Occhi a Venezia nel 1740.

Le postille, in questo caso, costellano tutto il testo e, in particolare, si trovano nei libri sesto e settimo, relativi a Sonetti e canzoni di messer Cino giudice da Pistoja; nel libro ottavo, Sonetti e ballate di Guido di messer Cavalcante Cavalcanti, e infine nel libro undicesimo dedicato alle Canzoni, sonetti, e ballate di diversi autori, per quanto riguarda la sezione di Fazio degli Uberti, pp. 271-281 e la sezione di m. Guido Guinizzelli da Bologna, pp. 288-298. Esse sono della stessa natura dell’esempio precedente, ossia riportano a margine, autografe e questa volta a penna nera, delle varianti linguistiche. In questo caso però le varianti sono riprese da un’edizione che Carducci indica con la sigla «B.» che fa seguire alla lezione appuntata. A titolo di esempio, si fornisce la riproduzione delle chiose alla canzone «Mille volte richiamo il dì mercede» di Cino da Pistoia alle pp. 157-158 delle Rime, Venezia, 1740.

«B.» è identificabile con l’edizione delle Rime di Dante Alighieri. Si aggiungono le rime di Guido Guinizzelli, di Guido Cavalcanti, di Cino da Pistoia e di Fazio degli Uberti pubblicata a Milano nel 1828 presso Nicolò Bettoni (di cui di seguito si possono vedere le riproduzioni del frontespizio e della nota all’edizione manoscritta da Carducci). Il volume del 1828 infatti è conservato anch’esso nella Biblioteca di Casa Carducci e tramanda un testo pienamente coincidente con le lezioni appuntate da Carducci sull’edizione del 1740.

Per confermare questa teoria, si riporta lo stesso testo della canzone «Mille volte richiamo il dì mercede» di Cino da Pistoia, “in pulito”, alle pp. 186-187 dell’edizione del 1828.