Il libero ospedale di Maggiano. La psichiatria fenomenologica di Mario Tobino

Lorenzo Viani

In un passaggio dell'Introduzione a Le chiavi nel pozzo di Lorenzo Viani, il dottor Guglielmo Lippi Francesconi parla in questo modo del dialogo fra le creazioni di Lorenzo Viani nel manicomio di Maggiano e la sua prospettiva da medico-psichiatra:

«Abbiamo qui di fronte delle mirabili riproduzioni del dolore umano, proiettato nel settore mentale. Esse non sono prodotti d’una fantasia in eccesso, ma qui l’elemento ideale sta a completare, ad accentuare, a rinforzare l’elemento reale, la verità esatta manicomiale. [...]  Ma l’estrema sensibilità, il potere impressionistico, la possibilità spirituale di captare, nella sua forma estetica, il dolore umano (tutte mirabili risorse dello spirito Vianesco) hanno permesso all’artista di avvicinarsi al Clinico, per lo meno parzialmente nel campo dello studio fisionomico e degli atteggiamenti. Qui dentro non mi sento circondato da disegni. Ma in quelle pareti io vedo palpitare i miei ammalati.» (Guglielmo Lippi Francesconi, Introduzione a Lorenzo Viani, Le chiavi nel pozzo, 1943).

 

I dieci mesi di isolamento di Lorenzo Viani alle Ville di Nozzano sono frutto della concomitanza di più fattori. Crisi asmatiche e una scomoda postura sociale data da episodi di disordine pubblico, sfociati nell’insulto al Podestà viareggino, fanno sì che Viani venga accolto sul colle di Fregionaia, accanto all'Ospedale Psichiatrico di Maggiano, in quel luogo in cui andavano a riabilitarsi i malati meno gravi.  A riceverlo alle Ville è il futuro amico Guglielmo Lippi Francesconi, psichiatra, con cui Lorenzo Viani instaura, da qui in avanti, un intenso e fruttuoso rapporto. 
Lo psichiatra è già noto, non soltanto per la sua attività professionale nel manicomio di Lucca, di cui diventerà di lì a poco anche direttore (divenendo un diretto predecessore dello stesso Tobino), ma anche per i suoi interessi artistici, esemplati dalla sua vittoria per il concorso per il primo manifesto del carnevale di Viareggio (1925), e in particolar modo dai suoi legami con il circolo di intellettuali riuniti intorno al Caffè Caselli, fra cui Giovanni Pascoli e Giacomo Puccini. 

Le parole di Lippi Francesconi restituiscono uno scorcio importante del rapporto e della stima intessuti fra lui e Viani presso il soggiorno alla Casa di Cura, che veniva intervallato dalle visite presso il manicomio di Fregionaia, esperienza cruciale, per l'artista, del periodo alle “villette”, in cui avvenivano gli incontri con quell'umanità del manicomio che egli inizia a studiare e a rappresentare.

 

Tornato a Viareggio dopo circa un anno, nel giugno 1934, Lorenzo Viani prepara velocemente ed inaugura, nell'agosto dello stesso anno, una delle sue ultime mostre: al celebre hotel Kursaal della città di mare, l'espozione dei disegni creati durante il periodo alle "Villette" viene aperta proprio da Lippi Francesconi ed è presenziata da altri psichiatri, come Pellizzi e Paoli, conosciuti nei mesi di Fregionaia. 

 

 

«Lorenzo Viani non sa di psichiatria, ma è in possesso d’una singolare esperienza psicologica. Ciò gli è bastato perché nel suo animo (dico «animo» e non organo sensoriale visivo), perché nel suo animo s’imprimessero tanto profondamente le sensazioni ricevute, direi violentemente, nelle sue visite all’Istituto, da far sì che la sua matita e il suo pennello si trasformassero rapidamente in istrumenti di precisione clinica. Sia sufficiente il fatto che noi del mestiere di fronte a uno di questi disegni ci sentiamo impulsivamente trascinati a formulare una diagnosi». [...]
«Ora, un artista geniale e dotato di tenace e paziente attenzione, può riprodurre con esattezza la mimica e l’atteggiamento di un soggetto, non solo, ma anche e specialmente comprendere, prima, e trasfondere poi, nella sua opera, il significato del movimento spirituale intimo che determina quella mimica e quell’atteggiamento». (Guglielmo Lippi Francesconi, Introduzione a Lorenzo Viani, Le chiavi nel pozzo, 1943)

Il ritratto di Lippi Francesconi segna il rientro alla vita quotidiana di Lorenzo Viani, dopo l’esperienza di Maggiano; in questo senso deve essere intesa l’annotazione “Ricominciando”, apposta nel margine finale destro del foglio. A partire dalla densità di informazioni contenute nel catalogo dei disegni di Viani Ai confini della mente, della mostra allestita da Enrico Dei nel 2001, si osservano queste nove pitture e disegni di Lorenzo Viani, gentilmente riprodotti dalla collezione privata di Enrico Dei, che nel loro accostamento ad alcuni brani dei racconti de Le chiavi, ci guidano nella lettura di una consapevole e riflettuta postura nella rappresentazione dell’umanità del manicomio, che si innesta sulle rappresentazioni tipiche del Viani “Vagero” e prossimo, nella sua arte come nella sua biografia, ai poveri e agli esclusi, qui distaccandosene, per procedere verso un sempre più complesso territorio di indagine.

 

Così racconta Mario Tobino nel suo racconto dedicato a Lorenzo Viani in Sulla spiaggia e di là dal molo: «Proprio davanti a loro, dirimpetto all'entrata, c'erano dei bellissimi quadri, e lì si diressero. I loro volti si dipinsero di stupore: scoprire in un luogo calmo la feroce bellezza del mare, scoprire il mistero che li teneva avvinti al travagliato mestiere, li sconvolse, li fece liberi da ogni imbarazzo. [...] La barca era sull'apice di una minacciosa onda che accennava a rompersi; la prua aveva sotto di sé il vuoto. E, stranamente, in quella logica disposizione di contrastanti volumi, in quella meditata e cruda realtà, nasceva un senso solenne, un'aura religiosa come sempre in quelle scene che si ripetono da secoli e ogni volta sono nuove. Uno dei tre marinai, gli occhi attaccati al quadro, era il più commosso; aveva scoperto una verità che da tanto gli si muoveva nel cuore e mai era riuscito a decifrarla».

 

«-Mandatemi a casa. Perché mi tenete qui tra i pazzi che mi intrarompono il corso del pensiero con tutte le loro mattie. L'odio dei folli contro i savi esplode da tutte le bocche. Contro il savio, normale, matematico, loico, equilibrato, che argina coi muraglioni il gran fiume di pece bollente della pazzia. -Ma cos'è la saviezza? - fu chiesto repentinamente ad un pazzo. - La saviezza è una corda tesa tirente sottile sulla quale bisogna stare sempre in equilibrio. La pazzia è la terra sterminata che ferma anche le saette. Or si vide mai uomini camminare su corde tese? Pagliacci e bindoli soltanto. - Un pazzo contemplava estatico il vasto casone, l'ordine uguale degli andrioni, le teorie delle finestre tutte identiche, le muraglile, i cortili, i contrafforti, il reticolato, i fossati. Quante cose per la pazzia. Poi cadde in profonda meditazione. - Qual pensiero ti turba? - Uno solo - rispose il pazzo. - Penso che gli uomini per arginare la pazzia han dovuto reticolare questa gobba di monte; cingere d'alte muraglie questo spropositato casone, creare stanze e cortili, un subbisso di stanze e di androni, e pensare che se dovessero fare un manicomio per la saviezza basterebbe una cella sola.» (Lorenzo Viani, Le chiavi nel pozzo, 1935)


Dalla spazialità riconoscibile, talvolta, degli interni e degli esterni del manicomio di Maggiano (che ci richiamano anche a quelli di Fidia Palla), ci interfacciamo sia con un disegno come quello del “Cortile uomini”, o con il più celebre “Tedio pomeridiano”, Qui, i confini fisici acquistano una caratterizzazione inafferrabile, mentre si accentua il protagonismo delle figure ritratte, dai movimenti e dai contorni instabili e “schizofrenici”, e, nel secondo, una valenza del colore dai tratti decisi e veri. 

 

«Se la pazzia fosse un dolore
In ogni casa si udrebbe un urlo»

Festa celebre per la tradizione della comunità lucchese, la processione del Corpus Domini si carica di un valore laico e ulteriore, leggendo Mario Tobino e Lorenzo Viani. Nelle loro descrizioni, romanzesche e pittoriche, della processione, essi la traspongono in una dimensione che, mentre ci conduce nell’osservazione stupefatta del malato, solitamente recluso, escluso e stigmatizzato, all’esterno delle mura del manicomio e nel suo confondersi con la comunità limitrofa, propone significati e sguardi via via diversi nei confronti dei degenti e del valore della festa. Leggiamo la prospettiva del Tobino medico di manicomio, nel suo ricordo come nel nuovo ruolo che la festa assume nel suo compito di direttore (nel Manicomio di Pechino); leggiamo Lorenzo Viani, nella sua elevazione dei malati, dall'esser vestiti dello stigma all'indossare "il colore turchino del cielo".

 

«La processione, fatto il portichetto, esce all’aperto. Avanti a tutti è il crocifero, intonacato da una cappa bianca; la crocetta d’argento antico è congegnata in vetta da una lunga asta celeste, che deve essere sottomessa all’arco basso d’uscita: di sotto il portale il Crocifisso esce come volando. I processionanti, divisi in due file, come i soldati sulle vie maestre, rasentano le pareti per non pesticciare, prima del prete, i tappeti. Sul piazzale gli infermi richiudono le file e si dispongono in bell’ordine; quando appare il Santissimo tutti gli astanti s’inginocchiano, dopo la elevazione si rialzano. Dopo il baldacchino vengono le inferme, trasognate, mortificate, umiliate. Qualcuna piange sommessa; una luce abbacinante percuote questi occhi usati dalla clausura, un suono festevole di campane porta in queste anime ottenebrate una luce nuova. Sono le campane di Nozzano, della Certosa, di Colle. Di qui si scorgono le altre processioni della piana, ma questa è certo la più commovente. Questi uomini, vestiti del colore turchino del cielo, sono mesi e mesi, alcuni sono degli anni, che non respirano l’aria con tutto lo spazio negli occhi.» (Lorenzo Viani, Le chiavi nel pozzo, 1935)

 

 

«Domani dunque ancora una volta vedrò la processione del Corpus Domini del manicomio. Tutti gli anni, al di fuori di quelli della guerra, ho visto, da quando son laureato, la processione dei matti, nel primo sboccio dell’estate, e ogni volta quello sfilare di folli dietro i preti ammantati mi ha portato a considerare la mia condizione. Ogni anno i matti, dietro il baldacchino, frastornati dai loro delirii, reietti dalla società, seguono in due file. Io, dietro le persiane, guardo.» (Mario Tobino, Le libere donne di Magliano, 1953)

«La processione, in quel cielo coperto che lasciava libera la terra di gettare negli occhi degli umani tutti i colori, è stata oltremodo bella, né io mai ne ho visto di più intense. La processione ha percorso tutti i viali che circondano il manicomio e sfiorano le mura, il piano terreno di tutti i reparti. […] I malati tutti assiepati, estatici, alle finestre, alle reti di recinzione, alle finestrelle e finestrini delle celle per “agitati”, incastrati i loro volti. Quelli del piano alto, lassù, sembravano volti di impiccati. Tutti i malati questa volta, per pochi minuti, erano dimentichi dei propri deliri, dimentichi o almeno distratti. Ai reparti “senili”, dietro le reti dei giardini ci erano spazi vuoti, troppo quei senili nella demenza per partecipare. Spiccavano invece dietro quelle reti delle infermiere col vestito bianco, più bello per la luce che pacata scendeva dal cielo.» (Mario Tobino, Il manicomio di Pechino, 1990)

 

L’“Ospedale di Maggiano” parla di un ulteriore scarto nella riflessione di Viani. Pittura inedita fino a ora, qui le figure sono ben distinte nei loro ruoli, grazie all’accentuazione, sempre a tratto ben marcato, delle differenze dei colori: bianco per i medici e per le loro “contenzioni”, quindi per le vesti e le coperture dei malati,  nero per le visitanti gli “infermi”, il tutto su uno sfondo rosso con nessun altro riferimento spaziale se non quello dei contorni dei letti, ora scheletrici apparati di sostegno per figure di individui le cui proporzioni non riescono ad adeguarsi a ciò che le circonda e la cui gestualità è inarrestabile esplosione.