Il libero ospedale di Maggiano. La psichiatria fenomenologica di Mario Tobino
"Le libere donne di Magliano"
«Io ho scritto in queste Libere donne com’era il manicomio dieci anni fa, quando i deliri urlavano, ho descritto le immagini, le furie, le depressioni, le ire, le ferocie, le aggressioni anche contro il proprio corpo».
(Premessa a Le libere donne di Magliano, Mondadori, 1963).
Nel 1953 Le libere donne di Magliano è un successo per il grande pubblico. L’ospedale del Dottor Tobino viene aperto alla società “fuori”, che in tal modo si fa più vicina alle condizioni degli internati di Fregionaia, agli spazi del manicomio, alla comunità lucchese che fa da contorno. L’edizione per i tipi di Vallecchi esce con in copertina il dipinto di una fanciulla danzante di Goya, il successo del libro è dirompente e le traduzioni dell’opera, negli anni successivi, saranno edite in moltissimi paesi europei.
Il libro offre al lettore l’affresco delle malate di Maggiano all’interno dei confini della forma frammentata di una narrazione vicina al diario clinico (doc.). L’impianto che muove dalla cartella clinica è manifesto, dimostrando uno sguardo prima medico e poi letterario verso le pazienti. L’unica prova italiana precedente di apertura delle porte di un ospedale psichiatrico attraverso lo strumento della letteratura, con forme narrative simili ma una storia e un esito differenti, era stata quella di Corrado Tumiati (I tetti rossi, 1931), che nell’Italia degli anni ’30 non conosce il meritato seguito. Negli anni ’50 i lettori italiani sono invece pronti ad accogliere a gran voce la novità e i commenti sono per la maggior parte entusiasti.
In assenza dei documenti che testimonino questa peculiare e avanguardistica genesi letteraria, se ne riprendono i volumi, gli stralci e le prove della ricezione ad esso collegati.
«Il manicomio si erge, bastione monumentale, su una collina che s’alza dopo la discesa del monte Quiesa; a poche centinaia di metri scorre il fiume Serchio. D’estate le cicale vi cantano perdutamente. È un paese rinserrato e stretto che contiene circa mille matti e trecento infermieri; non si contano gli anditi, le scale, le soffitte che ogni generazione ha sfatto e aggiunto».
Gli unici estratti delle cartelle cliniche pubblicate come «nudo referto» da Mario Tobino, sono quelli che leggiamo in Una vacanza romana. In questo prezioso libro postumo coesistono frammenti di forme narrative molto eterogenee. Al racconto romanzato del soggiorno romano con Paola Olivetti, Tobino affianca un capitolo inedito dal titolo “Le cartelle ritrovate”.
Non solo romanzo della malattia, Le libere ci raccontano anche delle attenzioni portate da Tobino ai luoghi stessi, un punto su cui meno si è soffermata la critica, ma che ci parla di una razionale cura nei confronti dello spazio, come l’amore “per la portineria” e come sarà quello successivo per il giardino. «Sto facendo la portineria superiore del manicomio. La presi in mano un anno fa che era una sudiceria ed ora già splende linda e ordinata; raschiata da ogni ingombro. […]. È da considerare che l’amore che si attua, che si immedesima nelle cose è trasmissibile, e i portieri (sono quattro) sono felici del rispetto che dimostro per la portineria, per l’Istituto, per noi, e quindi per loro». Una riflessione poi esplicitata nel successivo diario di direzione, testimone di un periodo sofferto, pubblicato solo nel 1990 (Il manicomio di Pechino).
Le fotografie e le mappe degli interni di Maggiano negli anni '40 si recuperano grazie alla pubblicazione del 1942 di Guglielmo Lippi Francesconi.
Nel 1963, “dieci anni dopo”, la riedizione delle Libere. Il «dentro» dell’Ospedale è ciò verso cui Tobino vuole mantenere viva l’attenzione, un interno stravolto dagli psicofarmaci ma che ancora fatica ad adeguare le conseguenze del cambiamento a dinamiche e retaggi del passato.
«Per i sani è giunto il momento di fare il loro dovere verso i folli. E, per aiutarli, è semplicemente necessario aiutare il numero dei medici, il numero degli infermieri specializzati, è necessario costruire piccoli ospedali per modo che ogni malato sia una persona e non un numero pressoché anonimo, è necessario e obbligatorio innanzitutto non dare soltanto il denaro ma partecipare, sorvegliare, criticare, appassionarsi a ogni passaggio di questa meravigliosa impresa contro la pazzia, la più misteriosa dea che esista nel mondo» (Premessa a Le libere donne di Magliano, 1963).