Merlino e i cavalieri di re Artù: il romanzo delle ‘Prophecies’ all’Archivio di Stato di Bologna
Un romanzo per il profeta Merlino
Il personaggio di Merlino ha goduto, dal Medioevo sino ad oggi di larga fortuna. Delle sue molteplici facies, la ricezione moderna e contemporanea ha privilegiato quella legata alla dimensione magica, tanto che al nome del personaggio si associa abitualmente la qualifica di ‘mago’: Italo Calvino, nel suo Il castello dei destini incrociati coniò addirittura un sostantivo, «magomerlino», antonomasia per ‘sapiente’, ‘incatatore’, ma anche ‘indovino’, ‘profeta’:
«Aveva in mano ancora una buona carta: l’arcano detto L'Eremita, qui rappresentato come un vecchio gobbo con la clessidra in mano, un indovino che rovescia il tempo irreversibile e prima del prima vede il dopo. È dunque a questo sapiente o magomerlino che Astolfo si rivolge per sapere dove ritrovare la ragione di Orlando. L'eremita leggeva lo scorrere dei grani di sabbia nella clessidra».
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati
La penna di Calvino associava il nome di Merlino a quello di Astolfo e di Orlando, protagonisti del poema cavalleresco di Ludovico Ariosto, nei confronti del quale l’autore – come larga parte della narrativa e della poesia italiana del Novecento – era particolarmente legato. Il mago e profeta arturiano compare infatti anche nell’Orlando Furioso come prima ancora era presente nell’Innamoramento di Orlando di Matteo Maria Boiardo. La grande stagione dei poemi cavallereschi italiani fu infatti ampiamente debitrice nei confronti della tradizione romanzesca medievale ed in particolare a quei romanzi francesi che, diffusi in Italia e letti e ascoltati da esponenti di classi sociali diverse – dall’aristocrazia signorile, alla classe dei mercanti e dei commercianti, dalla nobiltà di sangue reale, agli strati più umili del popolo cittadino –, narravano le vicende di Artù, di Tristano e dei cavalieri della Tavola rotonda alla ricerca del Graal. Nell’Italia duecentesca e trecentesca furono particolarmente fortunati i romanzi dedicati a Merlino, tanto che proprio in Italia, nella seconda metà del XIII secolo, vennero composte le Prophecies de Merlin (‘Profezie di Merlino’), il romanzo dedicato al racconto della vita del mago e profeta e alla raccolta dei suoi vaticini.
Alla fine del XIII secolo Merlino poteva già contare su una fortuna vecchia di più di un secolo: era stato Goffredo di Monmouth a delineare il profilo del mago nella sua Historia regum Britanniae (‘Storia dei re di Bretagna’: Galles, 1135/1140 ca.) e nella di poco successiva Vita Merlini (‘Vita di Merlino’: Galles, 1150 ca.). Con la sua opera Goffredo creò non soltanto la figura del saggio e talvolta ambiguo protettore di Artù, garante del suo intero regno, ma consegnò al proprio pubblico la figura di un profeta onnisciente: nei suoi oscuri vaticini – raccolti in una ben delimitata sezione dell’Historia con il titolo di Prophetiae Merlini (‘Profezie di Merlino’)– il popolo bretone poté ripercorrere, tra guerre, sconfitte e vittorie, la propria storia, non solo quella mitica e leggendaria, ma anche quella più vicina, quasi contemporanea,quella che lo riguardava più da vicino, traendo da essa ispirazione per il proprio futuro.
Le profezie galfridiane ebbero così un’immediata e vasta fortuna non solo nelle isole britanniche ma anche nel continente europeo: scrittori, esegeti e intellettuali cercarono di interpretare le oscure previsioni che Goffredo di Monmouth aveva affidato alla voce di Merlino. Parallelamente apparvero nuove e numerose profezie, anche indipendenti dall’opera di Goffredo, che, grazie all'attribuzione a Merlino, potevano contare su una patente di autorità e di affidabilità e che portarono alla nascita di un vero e proprio genere: in tal modo, grazie alla voce di Merlino e ai meccanismi retorici del linguaggio oracolare, vennero dotati di legittimità profetica programmi di azione politica, strumenti propagandistici, manifesti di azione militare, di censura e di stigmatizzazione morale.
Così, favorito da una cultura sempre più propensa ad accogliere la possibilità che il futuro potesse essere conoscibile e che grazie ad esso ci si potesse preparare degnamente alla fine dei tempi, senza smarrirsi in una storia che rischiava di non avere più senso, il profetismo ‘merliniano’ in lingua latina sbocciò nelle isole britanniche, in Francia, in Spagna, lambendo il mondo germanico, e fiorì in Italia dove i vaticini dell’anglicus vates godettero di un’eccezionale fortuna.
Dopo la stagione dei romanzi in versi di Chrétien de Troyes (Francia, seconda metà XII secolo), furono tuttavia i romanzi in prosa del Piccolo Ciclo attribuito a Robert de Boron (Francia, 1210 ca.) e poi quelli del Lancelot-Graal (Francia, 1210-1235 ca.) a raccontare le storie di Artù e dei suoi cavalieri in lingua volgare; in quel francese antico, ormai già divenuto lingua di cultura per l’intera Europa feudale, che permise alla materia di Bretagna di diffondersi capillarmente nelle corti e nelle città di tutto il continente.
La storia di Merlino venne dunque narrata insieme a quella di coloro il cui destino era stato prefigurato nelle sue stesse profezie: il riscatto del trono bretone da parte di Uterpendragon, il riconoscimento di Artù come suo legittimo erede e la sua ascesa tramite il prodigio della 'spada nella roccia', le avventure di Lancillotto e il suo amore adulterino per la regina Ginevra, il compimento della ricerca del Graal da parte del cavaliere eletto.
Nell'alveo della tradizione arturiana, tra la metà e gli anni Settanta del XIII secolo, in Italia settentrionale, furono composte le Prophecies de Merlin: l'autore anonimo – nascosto nel testo dietro al nom de plume di Richart d'Irlanda – riunì in tal modo in un unico romanzo in lingua volgare le due linee – quella profetica e quella arturiana – che, da Goffredo di Monmouth, avevano seguito sorti parallele. Forse la fortuna, di cui aveva goduto molto precocemente nella penisola la materia di Bretagna, favorì l’emersione del ricordo che quel Merlino, di cui si diffondevano le profezie dedicate al destino di sovrani e città, era lo stesso personaggio, generato da un demonio e benedetto da Dio con il dono della profezia, protagonista della Estoire de Merlin en prose (‘Storia di Merlino in prosa’: Francia, 1210 ca.) e personaggio centrale della Vulgate (o ciclo del Lancelot-Graal: Francia, 1210-1235 ca.); forse alcuni centri culturali dell’Italia settentrionale promossero un recupero delle origini arturiane di quel profeta i cui oracoli venivano citati dagli storici nelle proprie cronache.
La coesistenza di due nature tanto marcate e tanto riconoscibili all’interno di un medesimo romanzo creò un testo originalissimo, unico nel panorama arturiano, in cui profezie politiche ed escatologiche, apocalittiche e storiche, exempla morali, ammonimenti didattici e additamenti dottrinali si intrecciano in una cornice narrativa originale, che non svolge affatto una semplice funzione di contenitore, e che, pur essendo perfettamente collocabile entro il cronotopo arturiano stabilito dalla Vulgate, propone una propria, pressocché completa, narrazione della vita di Merlino.
Il contenuto profetico delle Prophecies e la sua apertura ad accogliere riferimenti all'intero universo finzionale arturiano ne favorirono non solo la diffusione e la circolazione, ma anche la riformulazione del testo, a seconda delle esigenze e delle necessità dei suoi diversi pubblici. Passibile di inserzioni, sottrazioni ed altri interventi di riscrittura, l'articolazione modulare del romanzo favorì dunque lo sviluppo di una tradizione attiva, con divergenze anche molto pronunciate fra i diversi testimoni (oggetto specifico di ricerca dell’EPM. Équipe Prophecies de Merlin). Si distinguono pertanto entro la tradizione manoscritta quattro gruppi, di cui il primo – latore della cosiddetta ‘versione lunga’ – è caratterizzato dalla preponderanza delle inserzioni e delle amplificazioni romanzesche, mentre il secondo – testimone della ‘versione breve’ – è più concentrato sulla messa in rilievo delle sezioni profetiche; gli altri due gruppi di manoscritti trasmettono versioni particolari del romanzo (la versione individuale con una vasta amplificatio sul cavaliere Segurant il Bruno e le versioni peculiari con caratteristiche proprie).
Le Prophecies portano così il pluralismo della storia merliniana ad esiti estremi, ibridando ed inglobando linee diverse e talvolta molto distanti. Particolarmente evidente nella versione lunga, la creatività romanzesca sviluppa episodi non rintracciabili nella tradizione precedente. Tuttavia, l’introduzione di inediti cavalieri ed originali avventure resta in costante dialogo con il cronotopo arturiano, in particolare con quello del grande ciclo del Lancelot-Graal, ma anche – e soprattutto – del Roman de Tristan en prose (‘Romanzo di Tristano in prosa’: Francia, 1235-1245 ca.) e del ciclo di Guiron le Courtois (‘Guiron il Cortese’: Francia, 1235-1240 ca.). Così nel romanzo, i movimenti centrifughi – il ‘nuovo’ – non rendono mai irriconosicibile il contesto narrativo – il ‘noto’ –, secondo quella tensione oppositiva tra innovazione e tradizione caratteristica della scrittura medievale.