Merlino e i cavalieri di re Artù: il romanzo delle ‘Prophecies’ all’Archivio di Stato di Bologna

Il frammento e l'intero: storia della tradizione e riuso di manoscritti

La tradizione manoscritta delle Prophecies de Merlin conta 13 codici e all’incira tre decine di frammenti: sulla base degli studi critico-testuali promossi dall'EPM. Équipe Prophecies de Merlin i testimoni si distribuiscono in almeno 4 macro-gruppi, ciascuno dei quali latore di una determinata forma del romanzo: il Gruppo I tramanda la ‘versione lunga’, arricchita di numerosi filoni narrativi paralleli alla vicenda principale; il Gruppo II conserva invece la ‘versione breve’, maggiormente interessata alle sezioni profetiche; il Gruppo III, rappresentato da un unico testimone, trasmette una ‘versione individuale’, nella quale le Prophecies de Merlin si intrecciano al Romanzo di Segurant il Bruno; infine il Gruppo IV raccoglie testimoni extravaganti del testo, latori di ‘versioni peculiari’, ciascuna delle quali caratterizzata (o gravata) da elementi propri.

A testimonianza della fortuna di cui il testo godette fra Trecento e Cinquecento, ai testimoni manoscritti si può aggiungere anche l'editio princeps di Antoine Vérard (Paris, 1498: USTC 38121; 47416; 88745), seguita da almeno altre cinque impressioni (USTC 8859 [Jean Macé, Rouen, 1513]; 52003 [Jean Macé, Rouen, 1520]; 697749925 [Philippe Le Noir, Paris, 1526]; 34420 [veuve Jean Trepperel, Paris, 1526]; 47148 [Philippe Le Noir, Paris, 1528]), nonché alcuni volgarizzamenti italiani: due in fiorentino, ossia una traduzione del Lunario di Merlino (conservata nel manoscritto di maestro Fantino da San Friano, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, II IV 111, cc. cc. 103ra-104ra) e la Storia di Merlino di Paulino Pieri (tràdita dal manoscritto di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 89 inf. 65); un volgarizzamento veneto, trasmessoci in due redazioni, della fine del XIV secolo, noto con il titolo di Historia di Merlino.

I manoscritti, datati il più delle volte su basi codicologico-paleografiche, testimoniano una diffusione antica non esigua: alcuni codici risalgono agli ultimi decenni del XIII secolo, ovvero a ridosso dell'epoca di composizione del romanzo (metà-fine anni Settanta del XIII sec.). A dispetto della sua composizione in Italia settentrionale, il romanzo ebbe una precocissima diffusione in Francia, poiché molti fra i testimoni più antichi, risultano di fattura e confezione francese, soprattutto nord-orientale.

 

 

All’Archivio di Stato di Bologna sono conservati 12 frammenti delle Prophecies de Merlin, riconducibili, sulla base di riscontri codicologico-paleografici, a 3 antichi manoscritti. Come per la maggior parte degli altri testimoni frammentari del romanzo e, più in generale, in linea con quanto è possibile riscontrare per molti dei lacerti pergamenacei oggi conservati presso archivi e biblioteche (soprattutto dell'area emiliano-padano-romagnola), i frammenti delle Prophecies de Merlin si sono salvati poiché reimpiegati in epoca moderna come coperte di registri e faldoni notarili o amministrativi: dal Seicento sino ai recenti restauri (che ne hanno curato il distacco), le loro pergamene hanno svolto il compito di proteggere e di conservare documenti, trascrizioni, conti di famiglia e di attività professionali o commerciali.

La significativa consistenza di tali testimonianze va compresa alla luce dell’esistenza di una folta tradizione frammentaria del romanzo. Infatti grazie alla rivalutazione critica del ‘frammento’ e del valore della sua testimonianza – tanto sotto il profilo culturale, quanto sotto quello critico ed ecdotico – a partire dagli anni Sessanta e poi soprattutto durante gli Ottanta del Novecento pioneristiche campagne di recupero archivistico hanno permesso di scoprire frammenti di riuso delle Prophecies de Merlin, conservati presso biblioteche e archivi d’Italia e d’Europa.

Già nella prima edizione critica del romanzo, curata da Lucy Allen Paton nel 1926 (Les Prophecies de Merlin edited from MS. 593 in the Bibliothèque municipale of Rennes, New York-London, Heath-Oxford University Press) veniva segnalato un frammento del romanzo, conservato presso la Stadtbibliothek di Treviri (Mappe VIII, fragment 4). Nell’ambito delle sue ricerche nelle biblioteche di tutta Europa, a partire dal 1963 Fanni Bogdanow rinvenne la maggior parte dei frammenti oggi conservati a Modena (Archivio di Stato, Busta 11/A, nn. 4, 9, 10), mentre negli anni Ottanta Rosalie Vermette e Keith Busby segnalarono i lacerti di Digione (Bibliothèque municipale, 2930) e di Cracovia (Bibliotheca Jagiellońska, Gall., fol. 178). Nel 1988 Geneviève Brunel-Lobrichon pubblicava la trascrizione del frammento Bo13, conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna (596 (HH), 6/2), inaugurando gli scavi che nella città felsinea avrebbero portato di lì a qualche anno Monica Longobardi a rinvenire un nutrito corpus di pergamene francesi presso la Biblioteca dell'Archiginnasio e l'Archivio di Stato. I frammenti che la studiosa ha potuto assegnare alle Prophecies de Merlin sono dunque stati oggetto degli studi di Stefano Benenati che ne ha curato la descrizione complessiva e ha potuto confermare e ipotizzare la loro assegnazione ad antichi manoscritti di provenienza. I lavori più recenti dell'EPM. Équipe Prophecies de Merlin e i prolegomeni all'edizione critica del romanzo a cura di Niccolò Gensini hanno confermato tali ricostruzioni a fronte di alcune correzioni e precisazioni, soprattutto dal punto di visto critico-testuale ed ecdotico.

 

 

Per frammento di riuso si intende un lacerto, il più delle volte pergamenaceo, proveniente da antichi codici o documenti manoscritti che per ragioni diverse è stato scartato e reimpiegato come coperta, dorso, giunta di rinforzo, ossia in geenrale come materiale di rilegatura, di registri o faldoni moderni, quasi sempre cartacei. La consistenza del frammento di riuso può variare dal bifolio, alla fascetta o al ritaglio, a seconda delle esigenze materiali del suo reimpiego; tra le ragioni più frequenti del suo utilizzo come materiale cartolario vi sono la dispersione di biblioteche o fondi antichi, l’usura dei manoscritti, il mutamento delle norme grafiche, l’avvento della stampa e più in generale una perdita del valore intrinseco dei testi trasmessi e di quello estrinseco dei codici smembrati.

Lo studio dei frammenti di riuso può consentire il rinvenimento di testi inediti, o tramandati da pochi altri testimoni, come anche la riscoperta di altri latori antichi di testi noti, spesso con l’obiettivo di ricostruire porzioni di manoscritti a partire dai frammenti superstiti, in grado di fornire un'immagine più chiara della diffusione originaria di determinate opere in luoghi e tempi talvolta insospettabili – come è il caso delle Prophecies de Merlin.

L'elevata presenza di tale genere di testimonianze presso gli enti di conservazione bolognesi ha favorito lo sviluppo presso il FICLIT. Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell'Alma Mater Studiorum – Università di Bologna di ricerche e studi dedicati specificatamente a tale fenomeno, con il coordinamento del Centro RAM e lo sviluppo tecnologico e professionale del laboratorio ADLab – Analogico Digitale.

 

Il bacino padano-emiliano-romagnolo si è dimostrato particolarmente ricco di frammenti di riuso: tale specificità è dovuta anche alle caratteristiche storico-economiche di tale regione, nella quale lo smembramento, il commercio e la legatura di pergamene di reimpiego si diffuse considerevolmente nei secoli XVI-XVII, con lo sviluppo di floride attività artigianali di cartolari, soprattutto nella città di Bologna.

La tipologia frammentaria costituisce così una testimonianza tanto importante quanto affascinante per la scoperta di nuovi testimoni di opere note e per la comprensione più avvertita della circolazione dei dei libri che le veicolavano. Suggestivo e misterioso, il ‘frammento’ ci interroga come un relitto del passato, in grado talvolta di modificare le nostre certezze, come è avvenuto, ad esempio, con il frammento zurighese della canzone Resplendiente stella de albur di Giacomino Pugliese, che permise di retrodatare alla sua scopritrice, Giuseppina Brunetti, lo sviluppo della scuola poetica siciliana. O in grado di mostrare, come Cesare Segre ebbe a sottolineare in un saggio dedicato proprio alle documentazioni frammentarie – Filologia e poetica delle rovine –, proprietà e caratteristiche, dei testi che trasmettono, altrimenti non immediatamente rilevabili; una «felice mutilazione» dunque, come quella che André Malroux attribuiva alla Venere di Milo.