Monsieur Giuseppe Raimondi tra Bologna e la Francia
Paul Valéry
Raimondi dedica numerosi articoli e saggi all’opera di Paul Valéry (1871-1945), individuando una profonda affinità intellettuale con la concezione artigianale del “mestiere” dello scrittore proposta dal francese. Quando Valéry ha l’occasione di leggere la meticolosa analisi dei suoi testi proposta dal bolognese, decide di scrivergli in italiano da Parigi tre lettere, nelle quali si lascia andare a dichiarazioni di poetica davvero interessanti (poi pubblicate da Raimondi nel volume La valigia delle Indie, 1955). Nella prima lettera del 17 maggio 1925, Valéry apprezza il fatto che Raimondi abbia individuato una caratteristica centrale della sua scrittura: «Nessuno […] aveva parlato della lentezza del verso mio o della mia prosa, prima di lei. La ricerca di questa lentezza fu in verità, uno dei miei precetti favoriti».
Nella seconda lettera del 6 ottobre 1925, Valéry lo ringrazia per avergli inviato il n. 2-3 della rivista “Il Convegno” del marzo 1925, dove era uscito il saggio di Raimondi Divagazioni intorno a Valéry, in cui lo accosta a grandi autori francesi come Baudelaire e Mallarmé.
Nella terza lettera del 6 marzo 1928, Valéry si complimenta con Raimondi per la pubblicazione del suo libro Il cartesiano Signor Teste (Longanesi, 1928), con il quale ha colto a perfezione il carattere tanto rigoroso quanto “antifilosofico” della figura immaginaria di Edmond Teste, che lui stesso aveva inventato per indagare i meccanismi del pensiero umano. Infatti, nelle pagine della versione raimondiana del Signor Teste, si trova una puntuale analisi della cifra stilistica di Valéry condotta sviluppando le stesse preziose metafore ideate dal poeta francese: «Lo stile di Valéry partecipa della qualità di simili materiali, tra il metallo e il fossile, densi di vita contenuta, che da essi sprigiona, sotto una superficie di crosta inerte».
Il pensiero esposto da Valéry nelle opere narrative e in quelle saggistiche influenza a tal punto la scrittura di Raimondi, che anche il personaggio di Domenico Giordani, protagonista dell’omonima operetta pubblicata da Longanesi nel 1928, è costruito come la sintesi della figura di Teste, del Didimo Chierico foscoliano, del Filippo Ottonieri leopardiano e delle Vite immaginarie di Marcel Schwob.