La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

Vico nelle lettere di Joyce

L'importanza di Vico per James Joyce emerge segnatamente anche nel suo epistolario, in cui Vico viene evocato ripetutamente come chiave interpretativa della sua opera, in particolare di Finnegans Wake. Joyce non solo si rifà esplicitamente alla teoria della storia vichiana, ma la integra profondamente nella sua poetica, rendendola un pilastro della sua visione letteraria.

Già nella lettera del 9 ottobre 1923 a Harriet Shaw Weaver, Joyce menziona Vico ed Hegel come capisaldi della teoria della storia. In quegli anni Joyce stava lavorando a Finnegans Wake e, nella lettera, l’autore si rammarica che il dibattito fra l’“archdruid Balkelly” (George Berkeley) e San Patrizio (Patrick), che Joyce aveva inviato a Weaver, le fosse risultato oscuro: «I am sorry that Patrick and [?] Berkeley are unsuccesful in explainiong themselves. The answe, I suppose, is that given by Paddy Dignam's apparition: metempsychosis. Or perhaps the theory of history so well set forth (after Hegel and Giambattista Vico) by the four eminent annalists who are even now treading the typepress in sorrow will explain part of my meaning». Per chiarire il contenuto del brano, Joyce fa riferimento all’episodio di Ulysses in cui ha luogo il funerale di Paddy Dignam (“Hades”) e in cui appaiono riferimenti a Berkeley. Essendo la metempsicosi uno dei motivi portanti di Ulysses, Joyce sta quindi chiarendo a Weaver che il dibattito fra St. Patrick e Berkeley riguarda proprio la reincarnazione, collegando quindi questo aspetto della filosofia berkeleyana a Hegel e a Vico, e lasciando intendere di ravvisare aderenze e contatti fra questi sistemi di pensiero, per spiegare, almeno in parte, il suo “meaning”.

Nel marzo 1925, in un momento di difficoltà personale e creativa, fortemente colpito dal glaucoma all’occhio che lo impossibilitava, Joyce esprime il desiderio di “sentire Vico letto di nuovo” nella speranza di poter tornare a scrivere. Questo passaggio rivela non solo l'influenza intellettuale di Vico, ma anche il suo valore ispiratore per Joyce, che vede in lui una guida nel suo percorso artistico: «I should like to hear Vico read to me again in the hope that someday I may be able to write again. I put an advertisement in the Mail for a reader but got not even one reply though I have often seen advertisements from Italians in it». 

Il 21 maggio 1926, Joyce si interroga sulla diffusione delle idee di Vico e riflette su come esse si siano “gradualmente imposte” a lui attraverso le circostanze della sua vita. Il riferimento alla “paura dei temporali” di Vico, una probabile proiezione ingannevole dello stesso Joyce, assente dall’orizzonte delle informazioni biografiche di Vico, suggerisce una riflessione più intima sul legame tra il pensatore napoletano e il vissuto joyciano: «I do not know if Vico has been translated. I would not pay overmuch attention to these theories, beyond using them for all they are worth, but they have gradually forced themselves on me through circumstances of my own life. I wonder where Vico got his fear of thunderstorms. It is almost unknown to the male Italians I have met». 

Nel febbraio 1927, Joyce menziona Vico in un contesto invece più politico, alludendo alla firma di Benedetto Croce e Giovanni Gentile su una protesta a suo favore, contro la censura di Ulysses. La connessione tra questi intellettuali e il pensiero vichiano evidenzia come Joyce percepisse la teoria della storia di Vico non solo come strumento letterario, ma anche come elemento di un dibattito filosofico più ampio: «The protest appears tomorrow. It has been cables to 900 paper in the U.S. I feel honoured by some of the firmatures and humiliated by some, those of Gentile, Einstein and Croce especially. It is curious about them too on account of Vico».

Nel maggio 1927, in un appunto lapidario, Joyce scrive: «Phoenix park. ---- simbolo usato da Michelet per spiegare la teoria di Vico». Qui emerge la triangolazione tra Joyce, Vico e Jules Michelet, traduttore e interprete francese della Scienza nuova. Il riferimento a Phoenix Park, luogo chiave di Finnegans Wake e luogo reale di Dublino, nonché alla fenice come simbolo del ricorso storico delle nazioni evidenzia la profonda assimilazione del pensiero vichiano nella struttura dell'opera.

Nel gennaio 1940, in una lettera a Jacques Mercanton, Joyce esprime amarezza per la ricezione critica di Finnegans Wake, sottolineando come il «libro intero sia fondato sull'opera di un pensatore italiano». Anche se non lo nomina direttamente, il riferimento a Vico è implicito e inequivocabile (come commenta anche Ellmann in nota), ribadendo il legame indissolubile tra la Scienza nuova e l'ultimo capolavoro joyciano. Da questi documenti emerge chiaramente che Vico non fu solo un'influenza occasionale per Joyce, ma un riferimento teorico e creativo essenziale. La sua concezione della storia come processo ciclico, la sua attenzione al linguaggio e ai meccanismi del pensiero umano si riflettono nella costruzione di Finnegans Wake, opera che si propone come una sintesi e una rielaborazione moderna della filosofia vichiana. 

Infine, nel settembre dello stesso anno, James Joyce scrisse a Maria Jolas chiedendole di procurargli Life and Works of G. B. Vico di Henry Adams. Il libro, raro profilo in inglese su Vico, era uno dei pochissimi libri in lingua inglese dedicati alla filosofia di Vico, a cui Joyce, un anno dopo la pubblicazione del Wake, era ancora fortemente interessato. Dalle sue parole sembra possibile ipotizzare una sua certa conoscenza del volume, che potrebbe aver verosimilmente conosciuto durante la pluriennale composizione del Wake: «If you see Prince Makinski the name of the book is The Life and Works of G. B. Vico, on sale at 12 or 14 Troy Street, W.1. price 5/-. Osiris Jones has not yet come forth by day or by night and I am waiting for a copy of that biography to be sent me by Gorman or his publisher».  


Bibliografia: 

James Joyce, Letters of James Joyce, vol. 1, ed. by Stuart Gilbert, Faber&Faber, London, 1957.
James Joyce, Letters of James Joyce, vol. 3, ed. by Richard Ellmann, Faber&Faber, London, 1966.
James Joyce, Selected letters of James Joyce, ed. by Richard Ellmann, The Viking Press, New York, 1975.