La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Jules Michelet
Storico dal respiro epico e scrittore di straordinaria sensibilità, Jules Michelet (1798-1874) ha saputo trasformare la disciplina storica in un’opera d’arte, capace di intrecciare le vicende delle nazioni con il palpito delle idee. La sua ambizione era cogliere la storia nella sua interezza, restituendola attraverso una narrazione vibrante, quasi oracolare. In questo orizzonte, l’incontro con Giambattista Vico si rivelò una svolta: non solo fornì a Michelet una struttura interpretativa innovativa, ma contribuì a diffondere il pensiero vichiano nella cultura europea ottocentesca e oltre.
Nel 1824, mentre era impegnato nei suoi studi sulla filosofia della storia, Michelet scoprì Vico attraverso la prima edizione della Scienza nuova pubblicata nel 1725, un testo allora poco conosciuto fuori dall’Italia. Affascinato dall’audacia speculativa e dalla profondità della concezione storica vichiana, intraprese un compito di capitale importanza: la prima traduzione francese della Scienza nuova, intitolata Principes de la Philosophie de l'Histoire, traduits de la Scienza nuova de J.B. Vico, et précédés d'un discours sur le système et la vie de l'auteur (1827), non una semplice resa linguistica, ma una vera e propria interpretazione volta a rendere accessibile il pensiero di Vico ai lettori francesi.
Nella storia europea della ricezione vichiana, questo lavoro ha un’importanza capitale. Nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, non esisteva ancora una traduzione inglese della Scienza nuova e il pubblico europeo, al di fuori di chi non leggeva italiano, doveva necessariamente affidarsi alla versione di Michelet per accedere al pensiero vichiano. La sua traduzione fu arricchita da un’introduzione appassionata non meno che importante, la quale contribuì a radicare l’idea di una storia ciclica e di una genesi poetica della civiltà nel dibattito filosofico e storico europeo, spesso letta parallelamente all’Histoire romaine (almeno nel suo primo volume).
È grazie a Michelet che Vico smise di essere confinato all’erudizione italiana e divenne un interlocutore privilegiato della modernità: Marx, Nietzsche, Croce, Spengler, Joyce e molti tra i principali autori della riflessione storica, filosofica e letteraria tra Ottocento e Novecento dovettero molto alla traduzione micheletiana della Scienza nuova, la quale attraversarono direttamente o indirettamente e con cui, quasi inevitabilmente, scesero tutti a patti. Insieme a questi autori, anche molti altri lettori poterono accedere all’opera di Vico: così, temi vichiani quali la visione ciclica della storia o la teoria del linguaggio come creazione collettiva, iniziarono a convergere verso il centro del dibattito culturale europeo, rendendo il loro autore un riferimento per chiunque volesse comprendere le leggi profonde dello sviluppo umano.
L’opera di Michelet non fu dunque un mero esercizio traduttivo, ma un atto di riscoperta e di mediazione culturale, che portò Vico alla ribalta, fino a raggiungere il dibattito intellettuale europeo del primo Novecento (e anche oltre). Con il suo slancio visionario, lo storico francese permise alla Scienza nuova di travalicare il «tempo grande» della cultura e di parlare alle generazioni future, che avrebbero riscoperto nel pensatore napoletano una guida per decifrare i ritmi profondi della storia.

