La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Il Vico di Joyce
La familiarità di James Joyce con la Scienza nuova di Giambattista Vico affonda le radici nella sua formazione culturale e nelle sue esperienze di vita. Sebbene non vi siano prove definitive che attestino una conoscenza diretta dell'opera vichiana durante gli anni della sua istruzione gesuita a Dublino, alcuni indizi suggeriscono che Joyce potesse aver incontrato Vico già in gioventù. In particolare, si ritiene che il sacerdote gesuita Padre Ghezzi, docente presso il Belvedere College, possa aver introdotto il giovane studente irlandese ai concetti fondamentali del pensatore napoletano.
Un momento cruciale nel rapporto tra Joyce e Vico è rappresentato dal lungo soggiorno triestino (1905-1918), durante il quale l'autore maturò una profonda conoscenza della lingua e della cultura italiane. Trieste, all'epoca vivace crocevia intellettuale, offrì a Joyce l'opportunità di approfondire la lettura di autori italiani e di entrare in contatto con una tradizione filosofica che aveva in Vico uno dei suoi riferimenti più significativi. Il suo interesse per la figura e l’opera di Vico potrebbe essersi consolidato proprio in questo contesto, grazie anche al confronto con intellettuali triestini e italiani, tra cui alcuni dei suoi allievi di lingua inglese e colleghi all'Università Popolare.
Successivamente, durante il periodo parigino, Joyce ebbe accesso alla traduzione francese della Scienza nuova, che entrò a far parte della sua biblioteca personale. La mediazione culturale francese, in particolare attraverso l'opera di Jules Michelet e Edgar Quinet, ebbe un ruolo chiave nella diffusione del pensiero vichiano in Europa, contribuendo a renderlo accessibile a un pubblico più ampio. Joyce si avvicinò a Vico non solo attraverso la lettura diretta, ma anche grazie a questi interpreti che ne avevano elaborato una lettura storicista e progressiva, e si mobilitò costantemente per reperire volumi che potessero aiutarlo ad approfondire la sua conoscenza di Vico e della sua filosofia.
Ultimo ma non meno importante fu invece Benedetto Croce: un aspetto meno esplorato e comunque necessario della ricezione joyciana di Vico è infatti la sua frequentazione del pensiero di Croce. Joyce conosceva l’opera dell’idealista napoletano, in particolare La filosofia di Giambattista Vico (apparso nel 1911 e tradotto in inglese nel 1913): questo volume conteneva una corposa trattazione della filosofia vichiana e rappresentava una delle più importanti riletture moderne della Scienza nuova. L’incontro con Croce, che contribuì in modo determinante alla riscoperta di Vico nel Novecento, potrebbe aver fornito a Joyce una determinante chiave di lettura del pensiero vichiano, arricchendo ulteriormente il suo rapporto con Vico e ampliando le possibilità di integrazione delle sue teorie nella propria produzione letteraria.
