La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

“Finnegans Wake”: introduzione

In più occasioni James Joyce dichiarò che Finnegans Wake riprendeva la Scienza nuova di Giambattista Vico, il cui pensiero ispira l’impalcatura teorica e narrativa del romanzo, oltre ad alcuni suoi elementi, luoghi e personaggi determinanti. La filosofia vichiana, fondata sul principio del «corso» e del «ricorso» della Storia, sulle tre istituzioni societarie e sull’importanza della creazione umana, trova una corrispondenza nella costruzione circolare dell'opera joyciana, il cui inizio si ricollega direttamente alla fine, suggerendo un eterno ritorno della storia che si riflette anche a livello linguistico.

Il trattato vichiano non è semplicemente una fonte per Joyce, quanto più un fondamento concettuale. L'autore stesso ha descritto Vico come un «trellis», un supporto strutturale su cui innestare e ibridare temi, motivi e sperimentazioni linguistiche. La visione ciclica della storia e la centralità del linguaggio nell'evoluzione delle civiltà, elementi cardine della Scienza nuova, si rispecchiano nella polifonia e nella complessa semantica dall’ampio respiro di Finnegans Wake. Il linguaggio ordito da Joyce è capace di stratificare significati e richiami culturali diversi, proprio come la Scienza nuova cerca di comprendere la trasformazione delle lingue attraverso i secoli, ragionando sulla storia delle nazioni e degli individui.

Da un punto di vista intertestuale, la presenza di Vico nel Wake si articola su due livelli. Da un lato, vi sono riferimenti espliciti con citazioni dirette o menzioni, identificabili grazie alle lettere di Joyce e agli studi critici dei suoi sodali attivi su «transition». Dall'altro, si rileva invece un'intertestualità di natura implicita, che si manifesta nell'organizzazione narrativa e nel lavoro sul linguaggio. La sperimentazione joyciana deforma e stratifica le fonti, amalgamandole in un tessuto testuale complesso e mutevole, di cui il pensiero di Vico è una trave portante. La struttura dell'opera riprende i meccanismi della storia descritti da Vico: l'età degli dèi, degli eroi e degli uomini (insieme alle loro relative forme espressive), a cui segue il ritorno al caos primigenio da cui tutto ricomincia. Impiegando una narrazione polifonica e frantumata, al limite della fantasmagoria, il Joyce di Finnegans Wake ricrea questa evoluzione ciclica attraverso l’intricato gioco combinatorio della sua prosa.

Se Ulysses esplorava un'unica giornata della vita di un uomo, Finnegans Wake si spinge oltre, abbracciando l'intero ciclo della storia umana e linguistica, nell’onirica cornice di una serata dublinese dal tramonto fino all’alba. La lingua del romanzo si rifrange in una moltitudine di idiomi e significati, costruendo un multiverso che ricalca la teoria vichiana secondo cui la storia dell'umanità si annida nella storia delle parole. L'opera di Joyce può dunque essere letta come una radicale messa in scena dei princìpi vichiani esposti nella Scienza nuova, il cui autore traccia le dinamiche di un costante processo di trasformazione del linguaggio e del pensiero collettivo.

Pertanto, Finnegans Wake non è una riscrittura della Scienza nuova, ma un'opera che ne assorbe e trasforma le idee in un nuovo paradigma letterario. La ciclicità, il mito, la dimensione collettiva della storia e la fusione di lingue e culture fanno di Joyce un interprete moderno di Vico, il cui pensiero continua a riverberarsi nella sperimentazione letteraria del Novecento e oltre. La Scienza nuova diventa così il modello epistemologico su cui si fonda il multiverso del Wake, un'opera che non si limita a raccontare una storia, ma ne rielabora i principi fondativi, trasformandola in una narrazione senza tempo, in cui ogni parola cela in sé le tracce della storia dell'umanità e della sua evoluzione.