La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Introduzione
Il più sublime lavoro della Poesia è, alle cose insensate dare senso, e passione.
Principi di scienza nuova
Giambattista Vico (1668-1744) è il pensatore degli inizi e dei ritorni. Nella Scienza nuova, si propone infatti di attingere alle origini della civiltà umana, recuperandone il «lume eterno, che non tramonta». Per farlo, si avvale di un linguaggio capace di immergersi completamente nelle tenebre che esamina. La sua opera sembra riaffacciarsi sulla scena politico-culturale in epoche di crisi, nel caos che precede o segue una rivoluzione o una restaurazione: così è stato per i moti risorgimentali e per la Prima guerra mondiale, ma anche per il Ventennio fascista. Esemplare per la concezione della poetica di Giacomo Leopardi e per quella della storia di Alessandro Manzoni, Vico è stato apprezzato anche da pensatori europei, come Jules Michelet, Samuel Taylor Coleridge e Karl Marx.
Al volgere del XX secolo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile fanno di Vico il perno della loro filosofia e un capitolo inaggirabile della storia delle idee. A partire dall’Estetica crociana (1902), dove Vico viene proposto come «scopritore» di questa «scienza», fino agli Studi vichiani di Gentile (1915), un’intera generazione di intellettuali, di scrittori, ma anche di artisti figurativi entra in contatto con questa eredità bifronte. Tale ambivalenza motiva la «citabilità» di Vico lungo l’intero spettro politico, da Antonio Gramsci a Giuseppe Bottai e da Curzio Malaparte a Piero Gobetti. Ciò permette inoltre di circoscrivere una vera e propria «vicosfera» italiana, che ricorre alla sua opera per giustificare la forza delle contingenze, rintracciare il dispiegarsi di un ordine storico o, ancora, auspicare una forma di riscatto dalle sofferenze del passato.
Il ri-uso a cui poeti, narratori, critici e intellettuali italiani sottopongono l’opera di Vico deve tuttavia molto anche alla ricezione che, in quello stesso periodo, matura all’interno di pratiche artistiche e di dottrine estetico-filosofiche note sotto il termine-ombrello di «modernismo». L’esperienza modernista viene rielaborata in quegli stessi anni da alcune riviste letterarie – tra le quali spiccano «Solaria» (1926-1934) e «Letteratura» (1937-1947) –, approfondendo e ampliando i rapporti tra la cultura italiana e il pensiero vichiano. A partire da queste suggestioni europee, ritornare a Vico significa sempre più superare, confutare o trascurare la mediazione di Croce e di Gentile. Laddove i due filosofi avevano fatto del suo nome un’«antonomasia» per sottintendere una certa idea di storicismo, Vico comincia a essere trattato come una «funzione», cioè un punto di vista critico e metodologico sulla realtà e sulle forme artistiche che ne sono testimonianza, o come un passepartout accettato sia dalla cultura ufficiale sia da quella dissidente.
La Ricezione di Vico e il primo Novecento italiano è una mostra digitale allestita nell’ambito dell’omonimo PRIN 2022 (codice proposta 2022A97CER – CUP J53D23013100006) da un gruppo di ricerca afferente all’Università di Bologna, l’Università di Torino, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto per la Storia del Pensiero Filosofico e scientifico moderno (ISPF). Oltre ai concetti vichiani che ricorrono più spesso nel periodo storico di riferimento, le sezioni indagano anche i veicoli che – tra filosofia, arti e scienze umane – hanno garantito o forgiato questo ri-uso. Di questa “vicosfera”, sono approfonditi il versante anglofono e quello italiano, con particolare attenzione all’esperienza delle riviste letterarie ma con uno sguardo aperto a prospettive ulteriori, versate nel secondo Novecento.
Mostra a cura di: Federico Bellini, Massimiliano Cappello, Mattia Cravero, Roberto Evangelista, Riccardo Gasperina Geroni, Leonardo Lenner, Chiara Lombardi, Salvatore Renna e Luca Tognocchi.
La mostra fisica e quella virtuale sono state inaugurate entrambe il 17 settembre 2025.
