La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Robin G. Collingwood: “The philosophy of G. B. Vico”
Nel fervido contesto filosofico del primo Novecento, la riscoperta di Giambattista Vico dovette molto alla mediazione di Benedetto Croce, che con il suo saggio La filosofia di Giambattista Vico (Laterza, 1911) ne riportò il pensiero al centro del dibattito europeo. Dedicando ampio spazio a Vico, Croce ne riscopriva la filosofia e ne tracciava un articolato profilo, seppur alla specola dell'idealismo di cui era intriso il proprio pensiero.
Questo volume colpì profondamente i maestri di Robin George Collingwood a Oxford, Edward Carritt e John Alexander Smith, i quali, avendo una conoscenza dell'italiano sufficiente a leggere l'opera, ne compresero l'importanza e suggerirono al loro allievo più promettente di tradurla in inglese. Il fine era quello di offrire un contributo essenziale al dibattito filosofico imperante su realismo e idealismo, avvalendosi della lezione di una delle più eminenti personalità del pensiero europeo del tempo. Croce godeva infatti di grande prestigio in tutto il mondo, così come presso i docenti di Collingwood, e quest'ultimo ne conobbe la Logica già prima di cimentarsi con la traduzione del volume su Vico.
Nel 1913, Collingwood portò a termine il suo compito, realizzando la prima versione inglese dell'opera crociana. Con questa traduzione, rese accessibile a un pubblico più vasto un’opera che presentava al dettaglio il pensiero di Vico, ponendo le basi per una sua diffusione capillare nel mondo anglosassone. Fino ad allora, infatti, nessuna opera di Vico era disponibile in traduzione sul mercato, e il suo nome restava confinato agli ambienti intellettuali italiani e francesi. Grazie alla mediazione di Collingwood, il dialogo tra l'idealismo britannico e la filosofia italiana si fece più intenso, e il pensiero vichiano divenne un ponte tra culture diverse, un riferimento imprescindibile riguardo al senso profondo della storia e al rapporto dell’uomo con essa.
L'approccio di Collingwood alla traduzione si caratterizzò per la fedeltà assoluta al testo originale. La sua versione inglese di La filosofia di Giambattista Vico è cristallina, priva di interventi personali, rispettosa delle parole di Croce, di cui cerca di mantenere intatta l'elaborata espressione. Questa esperienza si rivelò cruciale per la formazione intellettuale di Collingwood: è notevole il peso che l'influenza crociana ebbe per la sua riflessione. Non fu casuale, invero, che Collingwood continuasse a tradurre altre opere di Croce anche in seguito, mantenendo con il filosofo italiano una corrispondenza (pur soltanto legata all’ambito professionale). Un segno tangibile della sua volontà di rimanere fedele all'autore è la nota che inserì nel volume tradotto, nella quale sottolineava che la traduzione era stata integralmente autorizzata da Croce. Terminato il lavoro, Collingwood si premurò di sottoporglielo, cercandone l'approvazione e il benestare.
Questa traduzione è particolarmente significativa poiché non solo favorì la diffusione di Vico nel mondo anglosassone, ma contribuì anche a rendere Croce una figura di riferimento imprescindibile per il dibattito filosofico anglofono. Il testo tradotto divenne una fonte essenziale per intellettuali come James Joyce, Samuel Beckett e William Butler Yeats, protagonisti del modernismo letterario anglofono. Non disponendo all'epoca di altre traduzioni inglesi dirette di Vico, questi autori si affidarono (anche) al lavoro di Collingwood per approfondire il pensiero vichiano; il quale, filtrato attraverso l'interpretazione crociana, permeò il clima culturale e filosofico della prima metà del Novecento.

