La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

«transition»: Samuel Beckett

Samuel Beckett fu certo tra i primi e più precoci interpreti del Work in Progress, ed ebbe il privilegio di discutere dell’opera sotto la guida dello stesso Joyce: fu quest’ultimo a suggerire al giovane Beckett di avvicinarsi al pensiero di Vico, consigliandogli di studiare in profondità le sue opere. Questo incontro con la filosofia vichiana diventa, per Beckett, una lente attraverso la quale leggere la struttura del Work in Progress: nel saggio Dante… Bruno. Vico.. Joyce, l’unico facente parte dell’Exagmination e non incluso sulle colonne di «transition», egli indaga il debito del suo maestro con alcuni pensatori italiani, tra cui Vico in particolare. 

Lo scritto è posto in apertura dell’Exagmination: in esso, Beckett propone una lettura già caratterizzata dall’acume tipico della sua opera matura. In particolare, sottolinea come il pensiero vichiano, insieme a quello di Cusano e di Bruno, siano miniere d’ispirazione del Work in Progress, che vi attinge temi come la coincidenza dei contrari e la concezione evolutiva della storia. Tuttavia, avverte preliminarmente, ogni interpretazione troppo rigida ne tradirebbe la natura proteiforme: Beckett spiega chiaramente come il Work in Progress sia un labirinto ermeneutico in cui il lettore è chiamato a navigare senza mappe prestabilite.

Nelle sue pagine, Beckett rilegge Vico come un pensatore empirico e innovativo, in contrasto con l’immagine più mistica proposta invece da Croce in La filosofia di Giambattista Vico, da cui si distacca solo in apparenza. La visione che Beckett sviluppa, invero, è influenzata dalla lettura di Croce e Michelet, da cui riprende alcuni passi alla lettera (probabilmente su consiglio dello stesso Joyce). Passando attraverso Croce (prima rifiutandolo, e poi riutilizzandone le parole) e fidandosi ciecamente del Discours di Michelet, Beckett presenta Vico come un pensatore in grado di unire il materialismo e la trascendenza, individuando nella storia un ciclo ricorrente che coinvolge tanto l’individuo quanto il disegno universale.

L’analisi che il saggio propone è densa e il pensiero di Beckett si fa strada tra le pieghe di una rielaborazione complessa, capace di coniugare pragmatismo e profondità speculativa. Egli non si limita a spiegare Vico, ma lo rielabora e lo applica a Joyce: dimostra (o almeno tenta di farlo) come le sue idee si ispirino alla Scienza nuova, portando al linguaggio del Work in Progress che si fa materia viva, tramite cui è possibile emulare la nascita dell’espressione umana e giocare con l’orizzonte semantico, etimologico e plurilinguistico, peraltro mettendo in crisi la stessa nozione di linguaggio. Si tratta di una danza strampalata distorta dalla dimensione onirica, sembra dire Beckett, grazie a cui la scrittura si fa espressione viva e pulsante della storia umana e delle sue stratificazioni. È in questo modo che Joyce trasforma il pensiero vichiano in una struttura narrativa: la ciclicità storica diviene tema e meccanismo del romanzo, il cui linguaggio riecheggia la spontaneità primordiale, il fascino del gioco e le potenzialità dell’immaginazione. 

La rielaborazione di Beckett si pone dunque come uno spunto fondamentale per comprendere il legame di Vico con Joyce e la sua presenza nel Work in Progress; ma, come egli stesso sottolinea, il suo pur ambizioso saggio non può che restituire soltanto un'eco della complessità di tale intreccio, che meriterebbe di essere esplorato più a fondo. Beckett è insomma ben cosciente di riuscire, in così pochi passaggi, a far emergere una visione che, per quanto ricca di spunti e riflessioni, si affaccia soltanto sulla superficie di un’opera che sfugge facilmente a ogni tentativo di riduzione.