La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

«Occidente»

In un articolo apparso su «Diorama letterario» il 26 settembre 1934, Lorenzo Gigli – intellettuale poligrafo di ideologia nazionalista – annoverava la rivista «Occidente» tra gli apporti più notevoli alla «diffusione della cultura del nostro tempo e alla formazione di un gusto letterario rapido». Le pubblicazioni avevano avuto inizio due anni prima per iniziativa delle Edizioni d’Italia di Armando Ghelardini, allievo di Massimo Bontempelli e già segretario di redazione della seconda serie di «’900», che insieme ad alcuni sodali aveva deciso di offrire una – suona così il sottotitolo della rivista – «sintesi dell’attività letteraria nel mondo». Sul terzo numero della rivista, proprio Gigli avrebbe rintracciato, in un intervento dedicato al principale ideologo del razzismo Arthur de Gobineau, una particolare adesione alla «tradizione della filosofia della storia», intrapresa da Aristotele e portata a compimento da Vico. Un ulteriore intervento, apparso sul numero X-XI di «Occidente» a firma di Francesco Jovine, avvicina invece lo stile di Luigi Russo – uno dei critici più autorevoli e seguiti dai giovani – definendolo «fornito di un senso vigile della storicità dei problemi estetici» pienamente inserito nella corrente che va «da Vico a De Santis da Croce e Gentile».

Tra i collaboratori della rivista, vale la pena di ricordare lo stesso Bontempelli, che nel testo che inaugura le pubblicazioni, Scuola dell’ottimismo, aveva parlato della riscoperta della «vera tradizione» in termini di «spontaneità», «libertà», «interesse alle cose». Osservazione che fa corpo con alcuni altri interventi di quel periodo, fortemente improntati sul pensiero di Vico soprattutto per quanto riguarda la suddivisione della storia della civiltà in tre «epoche» – di cui quella contemporanea sarebbe quella in cui «l’uomo, forte delle esperienze passate e dopo aver fatto tabula rasa, può costruire secondo le esigenze di modernità». 

Oltre a Bontempelli, un posto di riguardo è per Umberto Barbaro, assiduo collaboratore di «Occidente» e già compagno di Ghelardini nella breve esistenza di «2000», sorta di prosecuzione futurista dell’esperienza bontempelliana. Particolarmente versato nella circoscrizione teorica del romanzo, Barbaro ne avrebbe parlato, sin dal primo numero della rivista, come del «rompersi» e del «ricomporsi di un’armonia»: due momenti «presieduti dalla fantasia e dall’immaginazione nella cui sintesi è l’intero processo dell’arte». 

Anche Elio Talarico – romanziere, drammaturgo, allievo a sua volta di Bontempelli – è tra i nomi da ricordare, per quanto riguarda la funzione-Vico in «Occidente». Talarico fu corrispondente, assieme a Ghelardini, di un’inchiesta promossa dalla rivista romana «Il Saggiatore», formata da un gruppo di giovani fascisti (Giorgio Granata, Luigi De Crecchio, Domenico Carella e Nicola Perrotti, a sua volta collaboratore di «Occidente») interessati alla «trasformazione della società e dello Stato» tramite l’espressione di «una cultura e un modo di fare politica diversi da quelli degli altri fascisti». Nel suo intervento, dedicato a un possibile «nuovo primitivismo», Talarico parlava dell’arte come precorritrice degli avvenimenti storici alla luce della «pratica quotidiana del vivere, in altre parole l’esperienza con i suoi corsi e ricorsi».

«Occidente» è una rivista con sede a Roma, cuore dell’esperienza e dell’immaginario fascista, e col fascismo intrattiene rapporti regolari: vi scrissero accademici d’Italia (Bontempelli, Pirandello), ministri (Bottai), personaggi politicamente coinvolti nell’edificazione e nella propaganda di un’ideologia fascista in transizione verso le leggi razziali (Gigli). Tuttavia, nei suoi tre anni di vita «Occidente» rischiò due volte il sequestro, e Ghelardini il confino: fu graziato una prima volta proprio dall’intervento di Giuseppe Bottai, la seconda da quello di Galeazzo Ciano. Con il numero 12 di maggio-giugno 1935 le pubblicazioni della rivista cessano bruscamente, senza che ne venga data spiegazione: solo un breve articolo di Ghelardini, Bilancio, preannuncia indirettamente la fine del periodico. Pare infatti che il 13° numero di «Occidente» fosse stato sequestrato in tipografia dalla polizia fascista a causa dell’impostazione della rivista, non ortodossa rispetto alla cultura ufficiale del regime, e per la presenza di collaboratori sospetti di opposizione al fascismo. 


Bibliografia:

M. Bontempelli, Scuola dell’ottimismo, «Occidente», I, 1932, pp. 5-9.
L. Gigli, Gobineau contro il mito democratico, «Occidente», III, 1933, pp. 31-47.
F. Jovine, Due critici italiani [Il metodo di Luigi Russo], «Occidente», X-XI, 1935, pp. 136-40.
M. Tortora, Modernismo e modernisti nelle riviste fasciste, in C. Patey, E. Esposito (a cura di), I modernismi delle riviste. Tra Europa e Stati Uniti, Ledizioni, Milano 2017, pp. 73-93: 84-8. 
E. Esposito (a cura di), Le letterature straniere nell’Italia dell’«entre-deux-guerres», 2 voll., Pensa, Lecce 2004.
A. Tarquini, Storia della cultura fascista, il Mulino, Bologna 2011.