La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

William Butler Yeats: citazioni vichiane esplicite

Nell’enigmatico A Vision, Yeats evoca Giambattista Vico come figura chiave di una filosofia della storia ciclica, spirituale e profetica. Il poeta irlandese, guidato anche dalla lettura di Benedetto Croce, vede in Vico un interprete delle fratture della modernità. Croce stesso aveva notato che Marx e Sorel derivavano dal filosofo napoletano «l’idea della lotta di classe e dei ringiovanimenti delle società per mezzo di ritorni a stati d’animo primitivi e a ricorsi di barbarie». Yeats, citando Croce, riformula la riflessione nel proprio linguaggio visionario: questi ritorni diventano «return […] to a new barbarism» e i «ringiovanimenti» si trasformano in «regeneration», slittando così da una genealogia storica a un simbolismo mistico.

Dietro questa rilettura si cela una rete di mediazioni anglofone. Yeats ricorda come Gerald Heard gli parlasse di «Henry Adams’ two essays», uno dei quali era probabilmente The Life and Writings of Giambattista Vico, pubblicato nel 1935: un testo che cercò a lungo anche Joyce, ad esempio, un’opera che si presentava come uno dei pochissimi viatici al pensiero vichiano in lingua inglese. In quell’Europa inquieta, Vico riemergeva come un autore rivoluzionario, ma anche come guida spirituale per chi, come Yeats, cercava un ordine simbolico nella storia.

Il principio del verum/factum, secondo cui l’uomo può conoscere solo ciò che ha egli stesso creato, è un altro importante cardine del pensiero vichiano che Yeats accoglie nel cuore della sua cosmologia: «Vico said that we know history because we create it, but as nature was created by God only God can know it». Così, la Storia diventa dominio umano e conoscibile, mentre la Natura, creata da Dio, rimane opaca all’intelletto. Parimenti, anche Croce aveva sottolineato che l’uomo, facendo la storia, può anche comprenderla: «Chi fa la storia se non la fa l’uomo […]? E lo spirito umano, che fa la storia, non è quello stesso che si adopera a pensarla e a conoscerla?».

Inoltre, in A Vision Yeats distingue le Faculties, i poteri consapevoli dell’agire umano, dai Principles, le forze inconsce dell’anima, relegate alla vita oltre la morte. Solo le Faculties, come la volontà o la maschera, sono visibili nella storia. Eppure, anche ciò che sfugge alla volontà umana può apparire sotto forma di simbolo. Se Vico spiegava come i primi uomini, con le loro vite «tutte immerse ne’ sensi, tutte rintuzzate dalle passioni, tutte seppellite ne’ corpi» (II, Corollarj d’intorno agli aspetti principali di questa scienza, SN44ISPF p. 105), interpretavano i fenomeni naturali come cenni divini, anche Yeats è convinto che la Storia sia fatta di segni, di intuizioni poetiche e di ricorsi mistici.

È altresì curioso che la Provvidenza, figura centrale per Vico, riaffiori nel testo di Yeats in modo discreto ma decisivo: «Providence had surrounded me with such goodness that to think of altering it seemed blasphemy». Se Vico la definiva «Mente […] superiore» che guida l’umanità servendosi inconsapevolmente dei suoi stessi fini, Yeats sembra similmente credere che la storia, pur generata dagli uomini, sia attraversata da una necessità ulteriore, una logica spirituale che solo il simbolo può tentare di svelare.
In questa trama di pensiero e poesia, Vico e Yeats si incontrano: entrambi vedono nella storia non solo un processo ma una rivelazione, un dramma in cui l’uomo, come un antico e primordiale poeta, crea per capire, e capisce perché ha creato.