La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
La vicosfera anglofona
Nel mondo anglofono, Giambattista Vico giunge soprattutto attraverso mediatori e filtri interpretativi. Fondamentale, come in molti altri casi, è la figura di Benedetto Croce e del suo La Filosofia di Giambattista Vico (1911), con cui presenta l'opera dell’autore napoletano offrendone precise chiavi di lettura. La traduzione inglese di Robin George Collingwood (1913) apre così un varco nel mondo letterario e filosofico britannico e statunitense, rendendo accessibile al modernismo anglofono un Vico filtrato ma incisivo, portando nuova attenzione su un filosofo che l'Ottocento inglese aveva già in parte riscoperto.
Su questa linea di mediazioni, Vico diventa una vera e propria coordinata del modernismo anglofono. Joyce, in Finnegans Wake (1922-1939), utilizza il principio del “corso e ricorso” come struttura stessa del romanzo: il testo si chiude dove inizia, incarnando la concezione ciclica della storia proposta da Vico. I sodali di Joyce, attivi sulla rivista “transition”, contribuiscono a fare della Scienza nuova un punto di riferimento per l’avanguardia europea, trasformando il pensiero vichiano in stimolo per sperimentazioni linguistiche e narrative. Yeats, nella seconda edizione di A Vision (1937), integra la lezione di Croce come veicolo di Vico, intrecciando cicli storici e simboli medianici per costruire il suo sistema euristico, in cui cosmologia, storia e esperienza umana dialogano strettamente.
Questo insieme di mediazioni, traduzioni e rielaborazioni dà forma a una vera e propria “vicosfera” di area anglofona: uno spazio di risonanza in cui il pensiero vichiano non è semplice reperto storico, ma energia creativa, capace di orientare narrazioni, simboli e riflessioni sul tempo e sulla storia, diventando una bussola intellettuale per l’intero modernismo anglofono.