La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Il primitivo
La grande novità della scienza fondata da Vico consiste nella ricerca della «comune natura delle nazioni», ossia degli elementi costanti che scandiscono l’evoluzione sociale delle differenti civiltà. Svolta nelle tre redazioni della Scienza nuova (1725, 1730, 1744), questa indagine, che implica uno scavo nella genesi dei costumi e delle istituzioni umane, coincide con l’impresa di «discendere da queste nostre umane ingentilite nature a quelle affatto fiere ed immani; le quali ci è affatto niegato d’immaginare, e solamente a gran pena ci è permesso d’intendere». Le immagini mitologiche e le pratiche rituali proprie alla mentalità primitiva sono interpretate in quanto espressioni di una «sapienza poetica» mediante la quale l’umanità, appena emancipatasi dalla selva originaria, costituisce le prime forme di organizzazione civile. Si tratta di un pensiero prelogico che, nell’incapacità di astrarre i concetti dalle loro rappresentazioni sensibili, lavora attraverso nessi metaforici e attribuisce significati ai fenomeni naturali. Proprio in virtù della loro fantasia fecondissima e debordante, per Vico «gli uomini del Mondo fanciullo per natura furono sublimi Poeti».
La connessione tra fanciullezza dell’umanità e capacità mito-poetica diviene così uno dei nuclei più ripresi della filosofia vichiana, che affascina scrittori, artisti e studiosi proprio per la sua rivalutazione della facoltà immaginativa, centrale anche per l’uomo moderno. Non a caso, tale consonanza si realizza in primis con la letteratura, ovvero l’arte che da sempre si occupa di raccontare e tramandare storie. Tra i diversi autori che rielaborano questo nucleo del pensiero vichiano, si ritrovano, tra gli altri, James Joyce, T. S. Eliot, Giuseppe Ungaretti e Cesare Pavese.
Oltre che dell’ambito letterario, la rivalutazione del pensiero primitivo incontra l’interesse anche di discipline come antropologia e storia delle religioni, che nascono e si sviluppano a cavallo tra Ottocento e Novecento. Sono diversi gli studiosi che, pur nelle rispettive differenze, si pongono sulla scia di Vico: James Frazer, per esempio, la cui idea dei tre stadi dell’evoluzione culturale richiama il medesimo schema vichiano, o Lucien Lèvy-Bruhl, che ne La mentalità primitiva (1922), indaga come «fonte inesauribile di emozioni» quella modalità di pensiero «prelogica, indifferente al principio di non contraddizione». Anche in Italia, la nascita dello studio dei popoli primitivi e delle loro produzioni culturali può essere interpretata come la prosecuzione dell’interesse inaugurato da Vico.
