La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

Francesco de Sanctis

Benché esteriore al periodo storico esaminato, l’opera di Francesco de Sanctis si rivela essenziale per comprendere il vichismo novecentesco, non solo in ragione dell’influenza esercitata su Benedetto Croce, ma anche sui numerosi scrittori e poeti che alla sua Storia della letteratura italiana (1870-1871) si richiameranno. Il suo interesse per Vico appare già radicato nei quaderni e negli scritti del periodo dell’insegnamento scolastico, come le Regole grammaticali (1842-1843) e le Lezioni (1846-1847), specialmente in riferimento al nesso tra pensiero e linguaggio.

In questo senso, la Scienza nuova fornisce al giovane studioso un modello di storia in grado di unire «fatti» e «idee», trovando possibile applicazione in una critica letteraria che legge la successione dei generi come espressione delle trasformazioni della civiltà umana. Nel postulare un progressivo passaggio dall’immaginazione alla ragione – che ha il suo corrispettivo letterario nel successivo prevalere della prosa sulla poesia – De Sanctis non manca di alludere alla teoria del «ricorso», interpretata in quanto crisi che concerne solo le forme esterne degli stati e non lo scorrere interno della storia umana.

Alla luce di queste considerazioni, che delineano Vico come iniziatore della filosofia della storia, risulta comprensibile la collocazione di De Sanctis nel contesto della cultura napoletana del suo tempo, impegnata a integrare l’idealismo tedesco con elementi vichiani. Non si tratta però di una reciproca riduzione: il «realismo» di Vico, fondato sulla filologia e sull’osservazione empirica, rappresenta, in questo contesto, un contrappeso alla tendenza attribuita alla dialettica hegeliana verso una «logica ideale» che procede dall’astrazione alla realtà concreta. Così al confronto con Hegel, si affianca quello con Herder, dal quale le divergenze emergono rispetto al carattere «stazionario» di Vico, incapace di cogliere le connessioni e le influenze tra civiltà successive.

Ma il ruolo di De Sanctis come mediatore del pensiero vichiano si deve soprattutto al penultimo capitolo della sua Storia della letteratura italiana dedicato alla «nuova scienza», in cui la ricostruzione di due secoli del pensiero, da Bruno a Giannone, prelude al rinnovamento politico e morale necessario a una «nuova letteratura». Ampio in questa disamina è dunque lo spazio dedicato a Vico come punto di resistenza e di incontro tra la vecchia cultura e la modernità: egli «era il retrivo che, guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa era la resistenza di Vico. Era un moderno, e si sentiva e si credeva antico, e, resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé». Pertanto la sua Scienza nuova – «la Divina Commedia della scienza, la vasta sintesi, che riassume il passato e apre l’avvenire» – è considerata come l’espressione di uno spirito critico riluttante alle mode filosofiche, incompreso dai contemporanei, ma allo stesso tempo genialmente ricettivo e creativo, nonché anticipatore dello spirito storicista che attraverserà il secolo successivo.


Bibliografia:

M. C. Cafisse, L’umanesimo vichiano nell’estetica di Francesco De Sanctis e nella filosofia di Pietro Siciliani, ESI, Napoli, 2014.
F. De Sanctis, Purismo Illuminismo Storicismo. Scritti giovanili e frammenti di scuola, a cura di A. Marinari, in Opere di Francesco De Sanctis, C. Muscetta (a cura di), vol. II, Torino, Einaudi, 1975.
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