La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
«transition»: Elliot Paul
Nel 1928 per «transition», Eliot Paul scrive un saggio che si distingue per il suo approccio avanguardista e per la comprensione profonda dell’opera di Joyce, in particolare del suo Work in Progress. Sebbene il saggio contenga un solo riferimento diretto alla filosofia di Giambattista Vico, questo passaggio è di fondamentale importanza per comprendere il legame tra il pensiero vichiano e la sperimentazione narrativa joyciana. Inizialmente rifiutando le critiche mosse all’opera da alcuni recensori, Paul sottolinea la natura circolare della narrazione di Joyce, che supera la linearità temporale in favore di una concezione più complessa e sfaccettata del tempo. Consapevole delle intenzioni programmatiche di Joyce, il critico decodifica il progetto dell’autore e ne esamina la struttura non lineare, la quale riflette la visione anaciclica vichiana, intesa come ricircolo continuo in cui si assommano le tradizionali categorie di passato, presente e futuro.
Nel saggio, Paul esplora la distorsione avanguardista dell’intreccio e dei personaggi, suggerendo che gli eventi del romanzo non seguono un ordine cronologico ma sono disposti secondo un piano mentale proprio di Joyce. La connessione tra questi eventi non è determinata dalla sequenzialità temporale, ma da una logica superiore che accomuna, in una sola dimensione storica, momenti tra loro lontani. Questa concezione si ricollega alla vichiana «Storia Ideal’Eterna, sopra la quale corrono in tempo le Storie di tutte le Nazioni» (I, Degli elementi, SN44ISPF p. 75), un concetto in cui ogni periodo storico è parte di un ciclo che si ripete e si rigenera, come le civiltà che risorgono dalle proprie rovine. Paul, infatti, fa un riferimento a una pagina della Scienza nuova in cui Vico parla del ricircolo delle civiltà, utilizzando l’immagine della Fenice come simbolo di un continuo rinnovamento ciclico. Joyce riprende questo tema, ambientando il suo romanzo in Phoenix Park, dove il corpo mitologico di Finn MacCool simboleggia la rinascita della civiltà dublinese, e dove il mito della Fenice evoca la teoria vichiana.
È proprio in virtù di questa tematizzazione che anche Paul, come i suoi colleghi, si tradisce: il suo approccio non è puramente diretto, ma mediato dalla lettura che Jules Michelet, storico francese, aveva fornito della Scienza nuova nella sua reinterpretazione. Michelet, traduttore e interprete di Vico, aveva adattato e talvolta manipolato il pensiero vichiano per le esigenze storiche e culturali del suo tempo; e Paul, consapevole di questa intermediazione, attinge dal lavoro di Michelet, forse su indicazione di Joyce stesso. Questa manipolazione del pensiero di Vico suggerisce che Paul, pur riconoscendo l’influenza vichiana sull’opera di Joyce, ne presenti il pensiero senza averne una conoscenza diretta, bensì strettamente dipendente dal filtro di Joyce: così come Joyce adatta Vico alle sue esigenze narrative, anche Paul se ne serve a livello critico.
Con ragione, Paul riconosce dunque il debito di Joyce nei confronti di Vico e lo sfrutta come cardine per comprendere la struttura e il significato del Work in Progress. La sua lettura presenta Joyce come un autore capace di rielaborare la filosofia vichiana in un linguaggio avanguardista e non lineare; per questo ha il merito d’essere una delle prime che evidenziano la ciclicità della narrazione joyciana come una riflessione sulla storia umana, come una storia che non segue un ordine cronologico ma che si ripete, si sovrappone, e si rinnova. Questa visione si intreccia con la concezione vichiana di un tempo che non è mai davvero passato, ma che ritorna sempre, risorgendo dalle proprie ceneri come la Fenice.
Il saggio di Paul è dunque un pratico esempio di come la filosofia di Vico sia stata rielaborata e reinterpretata da intellettuali del primo Novecento, di come sia stata innestata ad altre idee e pensatori e abbia mutato, distaccandosi in parte dall’originale. È anche attraverso l’analisi di Paul, così come dei suoi colleghi, che la riflessione vichiana sulla ciclicità della storia e sul ripresentarsi dei cicli storici è stata integrata e trasformata in una delle principali chiavi di lettura per il modernismo joyciano.
