La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
“Finnegans Wake”: citazioni del nome di Vico
Joyce e Vico si incontrano nelle pagine di Finnegans Wake in un dialogo sotterraneo che intreccia filosofia, storia e linguaggio. Il romanzo joyciano, celebre per la sua architettura ciclica e la sua polifonia linguistica, trova nel pensiero vichiano una guida concettuale, e rivede nella Scienza nuova un’enorme miniera di ispirazione. L'interesse di Joyce per Vico non si limita alla Scienza nuova, ma si estende alla vita stessa del filosofo napoletano: è notevole che tale interesse si traduca nel testo in molteplici trasposizioni del suo nome e delle sue idee, spesso celate nelle fitte stratificazioni linguistiche del romanzo.
L’eco vichiana risuona fin dall’incipit di Finnegans Wake, dove la caduta del gigante Fin MacCool rievoca l’incidente infantile di Vico, narrato nella sua autobiografia, che lo portò a una lunga convalescenza e a un percorso di studi fuori dai canoni scolastici. Così come il filosofo teorizzava il corso e il ricorso della storia, Joyce rappresenta la caduta come un evento ricorrente e universale, inscrivendola nel meccanismo del suo romanzo e della storia umana.
Nel testo, Vico appare sotto molteplici forme: il suo nome si dissolve e si ricompone in giochi fonetici e metamorfosi linguistiche, accanto a pensatori come Michelet e Bruno, creando un flusso di riferimenti che attraversano le epoche e le culture («From quiqui quinet to michemiche chelet and a jambebatiste to a brulobrulo!»; 117, 11-12). La teoria vichiana basata sul concetto di «corso» e «ricorso» delle nazioni, che nel Wake passa a rappresentare il secolare meccanismo della storia umana, trova la sua perfetta incarnazione nel «riverrun» joyciano (3, 1), il fiume che scorre incessante e che simboleggia il ritorno ciclico di eventi e figure nel corso del tempo.
L’omaggio a Vico si manifesta anche in personaggi enigmatici come «Mr John Baptister Vickar» (255, 27), il custode della narrazione, il cui nome richiama il filosofo e al tempo stesso Giovanni Battista, iniziatore e mediatore di un sapere che attraversa il tempo. In un’altra occorrenza, Vico viene invece trasfigurato in «Jambudvispa Vipra», fusione tra la sua filosofia e il pensiero vedico, divenendo un saggio capace di cogliere i meccanismi ricorrenti nel profondo della storia («as Jambudvispa Vipra foresaw of him; the last half versicle repurchasing his pawned word; sorensplit and paddypatched; and pfor to pfi nish our pfun of a pfan coalding the keddle mickwhite; sure, straight, slim, sturdy, serene, synthetical, swift», 596, 29-33).
Joyce non si limita a citare Vico: ne assimila il pensiero e lo trasforma in un principio strutturale del suo romanzo, in un universo in cui le parole si rimescolano, i significati si moltiplicano e le identità si sovrappongono. Finnegans Wake non è solo un omaggio al pensatore napoletano, ma la dimostrazione ‘vivente’ del suo metodo: un libro che si legge e si rilegge come la storia stessa, in un eterno ritorno di forme e di suoni.