La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Vicosfere in collisione
L’attenzione accordata dalle riviste tra le due guerre all’area del modernismo anglofono – su una linea che passa soprattutto per l’opera di D.H. Lawrence, W.B. Yeats, James Joyce – può essere letta come il luogo di incontro con un diverso modo di ricevere il pensiero di Vico: un’influenza facilmente individuabile per la società delle lettere italiana, ma foriera di implicazioni tutte da valutare. È un’attenzione che passa soprattutto per le scelte editoriali, e che si concentra su alcune linee di contiguità con gli utilizzi a cui in quegli anni Vico è soggetto in Italia. Tra queste, spicca senz’altro l’idea vichiana di storia.
Su «Letteratura», nell’ottobre 1939, appare la traduzione di una pièce teatrale di W.B. Yeats, The words upon the window-pane nella versione di Luigi Berti. Il dramma prende le mosse da una seduta organizzata dall’Associazione Spiritistica di Dublino, ed è ambientato nella vecchia casa di campagna di Jonathan Swift. Vi partecipa un giovane studente di Cambridge, John Corbet, impegnato proprio in una tesi sul rapporto tra lo scrittore irlandese con Stella (Esther Johnson) e Vanessa (Esther Vanhomrigh). Swift rappresenta, agli occhi di Corbet, l’età eroica dei poeti irlandesi, in cui «gl’intellettuali raggiungevano il massimo della loro potenza», «i posti più altolocati che mai ebbero in società e nello stato». Swift, ricorda Corbet, si ispirava al «Senato romano», e a personaggi come Bruto e Catone: «Un simile ideale ad un tal’uomo ancora una volta era sembrato possibile ed egli previde approssimarsi la rovina, la Democrazia, Rousseau, la Rivoluzione Francese». Si tratta di un passaggio importante, perché espone la teoria dei ricorsi coinvolgendo proprio quella storia romana che Vico aveva considerato come solenne esempio della «storia ideal’eterna».
Un altro esempio dell’incontro tra la vicosfera italiana e quella anglofona occorre in uno dei momenti più cupi del Novecento italiano, quando la rivista «Letteratura» commissiona al fratello Stanislaus alcuni Ricordi di James Joyce. Firmati «giugno 1941» – lo stesso dell’entrata in guerra dell’Italia –, questi Ricordi appariranno in due puntate tra il luglio e il dicembre di quell’anno, mentre il XXXV Corpo d’Armata si appresta alla drammatica spedizione in territorio sovietico a fianco delle truppe naziste impegnate nell’Operazione Barbarossa. Lo spettro della guerra mondiale (questa volta della Prima) tormenta anche le pagine di questo resoconto, nel quale Stanislaus parla del rapporto del fratello col pensiero di Vico, considerando, alla luce dei precedenti Dubliners e Ulysses, il Finnegans Wake, ultima opera di Joyce. Dopo aver contemplato la vita minuta dei piccoli borghesi di Dublino, Joyce ne aveva considerato la storia cittadina come «un aspetto della storia universale nel quadro della filosofia di Vico». Se Ulysses descrive la storia come un «incubo dal quale tentava di svegliarsi», nel Finnegans Wake quest’incubo diviene mitologia, il «sogno mattutino della storia».
Dall’area del modernismo anglofono, gli scrittori italiani colgono soprattutto un certo uso dei simboli e delle mitologie delle origini, alludenti a un’infanzia del mondo che la cultura italiana sentiva di aver perduto. Ma anche l’utilizzo di tecniche ibride, capaci di mescolare poesia e narrazione (tra cui spicca il flusso di coscienza joyciano), risponde, in Italia, all’esigenza di attingere nuovamente a questa fanciullezza senza rinunciare alle proprie acquisizioni secolari. Sembrano, inoltre, di grande interesse le incursioni nella psicologia proposte da scrittori di lingua inglese, vere e proprie «carte di un mondo interno all’uomo contemporaneo, da riconoscere con le nostre stesse dimensioni d’intelligenza, per la prima volta». Così Giansiro Ferrata, nella sua retrospettiva sull’esperienza di «Solaria», avrebbe parlato delle opere dell’area del modernismo lette in Italia in quegli anni: come di testimonianze «poetico-metafisiche, mitologico-letterarie o scientifico-mitologiche, eppure ancora con una voce immediata a cui la fantasia imprime esatto e indefinibile slancio».
Bibliografia:
G. Ferrata, La letteratura europea di «Solaria», in G. Grana (a cura di), Letteratura italiana. Novecento, I contemporanei. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, Marzorati, Milano, 1982, pp. 4899-4909.
S. Joyce, Ricordi di James Joyce (II), «Letteratura», V, 4, ottobre-dicembre 1941, pp. 23-35.
W. B. Yeats, Le parole sui vetri alla finestra, (trad. di L. Berti), «Letteratura», III, 4, 1939, pp. 108-122.
L. Berti, Memoria per Yeats, «Letteratura», III, 4, 1939, pp. 108-122.
