La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Sigmund Freud
In pagine famose dedicate alla psicologia, James Hillman include lo psicoanalista Carl Gustav Jung in una tradizione filosofica che risale sino a Schelling, Plotino e Platone, passando anche per Vico. Sarebbero questi i nomi tutelari di quella «psicologia del profondo» secondo cui, con le parole di Hillman, «la dimensione dell’anima è la profondità [...] e la dimensione in cui procede il nostro viaggio d’anima è verso il basso».
Le profondità più nascoste dell’anima richiamano così l’inconscio e, inevitabilmente, il suo maggior teorizzatore, Sigmund Freud. Come nel caso di altri grandi nomi della psicoanalisi, quali il menzionato Jung (i cui archetipi molto assomigliano agli universali fantastici vichiani) o Jacques Lacan, non si hanno prove certe di una lettura di Vico.
Freud, per esempio, non cita mai il filosofo napoletano, che, tra l’altro, a cavallo tra Ottocento e Novecento non era particolarmente noto nel mondo tedesco. Le assonanze tra i due sono però molteplici e indubbie, al di là di una conoscenza diretta. Entrambi infatti si dedicano alla creazione di una nuova scienza che illumini i principi che reggono universalmente la storia degli uomini, in Vico, e quelli che determinano il funzionamento della psiche, in Freud; entrambi compiono uno scavo archeologico nella storia dell’uomo, convinti che il momento originario rivesta un’importanza decisiva per il successivo sviluppo della storia, personale e collettiva. Entrambi, infine, si interessano in maniera particolare ai prodotti del mito, che vengono analizzati come particolarissimi (e validissimi) documenti di ciò a cui in passato l’uomo dette maggiore importanza, ed entrambi attribuiscono grande valore al linguaggio metaforico, ai simboli da esso prodotti e alla loro interpretazione.
Alla base di tutti questi elementi, è proprio ciò che coglie la notazione di Hillman a rappresentare il punto di maggior contatto tra Freud e Vico, ovvero quel che potrebbe essere definito come «paradigma della profondità»: per i due pensatori la storia dell’uomo, così come la sua psiche, sono territori da esplorare in profondità, mentre lo sviluppo ontogenetico riproduce quello filogenetico. In questo modo Freud recupera tale connessione, centrale nella ricostruzione vichiana, per adattarla alla teorizzazione dell’inconscio, che, come emerge dall’Introduzione alla psicoanalisi, fa sopravvivere nell’uomo moderno l’antico bestione di Vico: «Abbandoniamo ora l’uomo delle origini e volgiamoci all’inconscio della nostra propria vita psichica. Dobbiamo qui appoggiarci al metodo d’indagine della psicoanalisi, l’unico che arriva fino a tali profondità. Ci domandiamo: come si comporta il nostro inconscio in relazione al problema della morte? La risposta sarà: quasi esattamente come l’uomo delle origini. Sotto un tale riguardo, come sotto molti altri, l’uomo preistorico continua a vivere inalterato nel nostro inconscio».
Bibliografia:
S. Arieti, Vico and Modern Psychiatry, in «Social Research», IV, 1976, pp. 739-752.
S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino, 1978.
J. Hillman, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 1983.
B. Saint-Girons, Vico, Freud et Lacan: de la science des universaux fantastiques à celle des formations de l’inconscient, in «Noesis», VIII, 2005, pp. 1-21.
D. P. Verene, Freud’s Consulting Room Archaeology and Vico’s Principle of Humanity: a Comunication, in «British Journal of Psychotherapy», XIII, 1997, pp. 499-505.
