La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

Curzio Malaparte

Italia barbara è una raccolta di saggi pubblicata nel 1925, dove Kurt Erich Suckert, che per la prima volta si firma “Curzio Malaparte Suckert”, approfondisce i motivi antimoderni a cui è particolarmente attento in questa fase della sua attività giornalistica e letteraria. Sono infatti gli anni in cui fonda e dirige la rivista politica «La conquista dello Stato» (1924-1928), promotrice di un fascismo che si definisce “integrale”, e di conseguenza sospettoso nei confronti del nuovo fascismo “politico”, formatosi a contatto con le élites liberali. In contrapposizione ai nuovi italiani, «banditori della civiltà» che «puzzano di straniero e di sbirro», Malaparte loda così gli italiani barbari, «spiriti ingenui e liberi, che son rimasti radicati alle tradizioni e ai costumi paesani»: la loro vendetta, annunciata in queste pagine, avrà come suo criterio quella che è definita nei termini di una «giustizia vichiana».

Se il riferimento va letto, come suggerisce il testo, nel senso di un «rubare al ladro» – una sorta di “giustizia di ritorno” – tale allusione alla dottrina vichiana diviene particolarmente significativa una volta interpretata alla luce del più ampio contesto politico e culturale di cui Malaparte si fa portavoce e in relazione al tema della polarità barbarie-civiltà. La rivolta dell’antico contro la civiltà moderna può essere accostata alla tesi vichiana del ricorso, consistendo questo nella ricomparsa dei tratti principali delle società arcaiche in seguito alla caduta dell’Impero romano. Tuttavia per Vico il passaggio dal moderno all’antico avviene non per un atto volontario ma per una crisi endogena del processo civilizzante. Si tratta della «barbarie della riflessione», il prevalere assoluto della ragione su tutte le altre facoltà che conduce infine gli «ingegni», oramai divenuti sterili, a una nuova «barbarie del senso».

Vico è infatti un pensatore dell’età moderna per il quale la barbarie non può assumere una valutazione positiva, mentre nella predizione di Malaparte – indicativa di una maniera di interpretare la condizione selvatica, barbarica, diffusasi soprattutto a partire dal diciottesimo secolo – il riaffermarsi della barbarie è una reazione auspicabile rispetto al corso intrapreso da un’Italia moderna in cui più tempi storici sincronicamente convivono. Saranno proprio queste stratificazioni della storia, le sopravvivenze di un’antichità in perenne conflitto con una ragione moderna incapace di penetrarle – quel «mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno» con cui i civilissimi ufficiali americani dovranno confrontarsi nella Pelle (1949) – il motivo conduttore del Malaparte romanziere; tema politico che si sviluppa in forma letteraria, e viceversa, se si prende sul serio quanto Piero Gobetti scriveva a proposito di Italia barbara e della «variopinta fantasia» che modella il pensiero politico malapartiano.


Bibliografia:

C. Malaparte, Italia barbara, Piero Gobetti editore, Torino, 1925.
C. Malaparte, La Pelle, Aria d'Italia, Roma-Milano, 1949.
A. Osucci, Il «giocoliere d’idee». Malaparte e la filosofia, Edizioni della Normale, Pisa, 2015.
G. Pardini, Curzio Malaparte. Biografia politica, Luni, Milano-Trento, 1998.