La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
Anna Banti
Anna Banti, pseudonimo di Lucia Lopresti, è stata scrittrice, critica d’arte e traduttrice. Figura centrale del panorama culturale del Novecento, autrice – tra gli altri – di Artemisia (1947), libro dedicato alla pittrice seicentesca Artemisia Gentileschi, Banti firma il suo primo testo narrativo sotto pseudonimo nel 1934, sulla rivista «Occidente» di Armando Ghelardini (Cortile). Sfollata, insieme al marito Roberto Longhi, dalla Firenze sotto bombardamenti, nel 1950 Banti fonda insieme a lui la rivista «Paragone», contribuendo in modo decisivo alla riflessione critica sull’arte e sulla letteratura in Italia nel secondo Novecento. Il suo lavoro letterario riflette un forte impegno civile e intellettuale, volto a recuperare voci dimenticate della storia, soprattutto quelle delle donne.
Il nome di Giambattista Vico fa la sua comparsa in una sola opera dell’ampia bibliografia bantiana, Noi credevamo (1967). Si tratta di un riferimento piuttosto tardo, e tuttavia significativo per la sua capacità di gettare retrospettivamente luce sul rapporto dell’autrice con la storia. In questo romanzo, dove Banti ricostruisce in termini finzionali l’esperienza risorgimentale attraverso lo sguardo del nonno materno Domenico Lopresti, si trova infatti un accenno al filosofo napoletano: «Marzo incominciava, il tempo era mutato e non ci avevo fatto caso: avevo abbordato la filosofia e Giambattista Vico». Quello che potrebbe apparire un riferimento estemporaneo nasconde una fitta rete di rimandi al metodo storico vichiano, più o meno occultati dietro riflessioni o parole-chiave. È il caso del «lampo» e del «tuono», intesi come «come messaggi, segni che tutto poteva mutare, che nulla era immobile»; o, ancora, la caduta dal fico del protagonista del romanzo – che, come la caduta dalle scale occorsa a Vico da bambino e narrata nella sua Autobiografia, porta con sé una profonda metamorfosi spirituale.
Banti non si limita a una ricostruzione storica razionale delle vicende del Risorgimento, ma adotta uno sguardo di tipo vichiano sul passato, comprensibile solo attraverso i sensi e la memoria immaginativa. È questo, d’altronde, il significato del principio del verum-factum: la vita di Domenica Lopresti, anche se ispirata a tratti alla Vita di Giambattista Vico, viene affrontata soprattutto in termini corporei e sensoriali, così come i «bestioni» di Vico iniziano a pensare grazie alla paura del tuono. Nel 1969, recensendo Noi credevamo, Pier Paolo Pasolini avrebbe scritto che con questo suo libro Anna Banti «adempie se stessa: la sua esperienza, la pienezza di una cultura e di una interpretazione della storia», con la fiducia imperterrita perché disperata – e analoga, in questo, a quella di Vico – di «trovare un lettore capace di comprendere questo Suo “adempiersi” in un altro momento storico».
Bibliografia:
A. Banti, Noi credevamo (1967), Mondadori, Milano, 1997.
L. Vedovi, Le donne "ricordano": la filosofia di Giambattista Vico nell'opera di Anna Banti, «Italica», XCII, 3, 2015, pp. 641-659.
P. P. Pasolini, Descrizioni di descrizioni (1979), ora in Saggi sulla letteratura e sull’arte, W. Siti, S. De Laude (a cura di), Mondadori, Milano, 1999, p. 1784.
