La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
“Finnegans Wake”: le tre età e il «corso delle nazioni»
Nel grande affresco di Finnegans Wake, Joyce intreccia il pensiero di Vico in una narrazione che si snoda secondo il principio del «corso» e «ricorso» su cui si basa la storia, parallelamente allo sviluppo dell’uomo e della società. In forte assonanza con la Scienza nuova, il Wake si fonda sul paradigma vichiano delle tre età, l’età degli dèi, degli eroi e degli uomini: esso è intrinseco non solo alla struttura del romanzo, ma anche ai suoi personaggi e al suo orizzonte linguistico.
Vico aveva individuato nelle lingue delle tre epoche storiche una progressione dalla scrittura geroglifica, riservata agli dèi, a quella simbolica degli eroi, fino alla lingua volgare degli uomini: «Ci sono pur giunti due gran rottami dell’Egiziache Antichità, che si sono sopra osservati; de’ quali uno è, che gli Egizj riducevano tutto il tempo del Mondo scorso loro dinanzi a tre Età, che furono Età degli Dei, Età degli Eroi, et Età degli uomini; l’altro, che per tutte queste tre Età si fussero parlate tre Lingue, nell’ordine corrispondenti a dette tre Età, che furono la Lingua Geroglifica, ovvero Sagra, la Lingua Simbolica, o per somiglianze, qual’è l’Eroica, e la pistolare, o sia volgare degli uomini per segni convenuti da comunicare le volgari bisogne della lor vita» (I, Degli elementi, SN44ISPF p. 67)». Joyce adotta questo schema e lo declina in chiave narrativa, trasformando i suoi protagonisti in figure fluide e polisemiche. Così H.C.E. e A.L.P. non sono solo un taverniere dublinese e sua moglie, ma anche il promontorio di Howth e il fiume Liffey, Adamo ed Eva, Artù e Ginevra, Tristano e Isotta, incarnando simultaneamente i tre stadi vichiani: divinità, eroi, uomini.
La ciclicità della storia emerge anche nel tessuto stesso della scrittura, dove ricorrono strutture quadripartite, date dall’integrazione alle tre età di Vico di un’età supplementare, in cui avviene il ricorso. Joyce gioca con la ripetizione, accostando immagini di rinascita e provvidenza: «Reberthing in remarriment out of dead seekness to devine previdence» (62, 7-8) è, ad esempio, un chiaro richiamo alla rigenerazione della storia, oltre a un ammiccamento alla Divina Provvidenza di Vico. Anche nella musicalità del linguaggio si avverte questa logica, con sequenze che scandiscono il tempo storico e il destino umano in una fitta concatenazione di trasformazioni, nella quale ogni elemento si ripresenta in forme sempre nuove, generando significati in continua evoluzione.
Uno degli esempi più incisivi di questo schema è l’uso della metafora agricola: Joyce introduce un parallelismo tra il ciclo della storia e quello della vita contadina, scrivendo «eggburst, eggblend, eggburial and hatch-as-hatch can» (614, 32-33). L’uovo si rompe, le sue parti si fondono, viene sepolto, e infine rinasce: un’immagine enigmatica ma pervasiva, in grado di tradurre il principio vichiano in una parabola universale. È la storia umana che si scompone e si ricompone incessantemente, mantenendo una struttura ricorsiva eppure mai identica a se stessa, come un fiume che scorre senza mai essere lo stesso fiume.
In Finnegans Wake, la filosofia di Vico non è solo citata, ma interiorizzata e reinventata: il romanzo non racconta la storia ciclica, ma la incarna nella sua stessa struttura. Il passato ritorna nel presente, le parole si sovrappongono, i significati si trasformano, proprio come accade nella realtà storica. Come Vico, anche il Joyce di Finnegans Wake intravede nella ripetizione della storia non una condanna, ma un’inesauribile fonte di creazione e conoscenza, una spirale di significati che si rinnova costantemente, come il linguaggio stesso con cui è narrato il suo capolavoro.