La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano

“Finnegans Wake”: la ciclicità della Storia

In Finnegans Wake, Joyce riprende una delle teorie fondamentali della Scienza nuova: la storia dell’umanità è intuibile non tanto come una linea retta, quanto più come un cerchio in cui inizio e fine si succedono in un gioco continuo. Joyce non si limita a recepire la teoria vichiana della ciclicità della storia, ma la trasforma in un principio compositivo per il suo romanzo, intrecciando narrazione e teoria in un coacervo linguistico del tutto singolare.

Finnegans Wake è strutturato in quattro libri, un chiaro omaggio alle tre età vichiane – divina, eroica e umana – con l’aggiunta di un quarto momento, il ricorso, in virtù del quale il ciclo della storia si riavvolge su se stesso. Questa ciclicità è il cuore pulsante dell’opera: ogni evento si rifrange in innumerevoli echi, ogni personaggio si trasforma, ogni parola suggerisce molteplici significati.

L’esempio più evidente di questa struttura ricorsiva è la frase d’apertura del romanzo, quando si cita il «commodius vicus of recirculation» (3, 2): questa espressione rimanda tanto alla Vico Road di Dublino quanto al «vicus» della Scienza nuova, simbolo del continuo ripetersi degli eventi storici. Il romanzo stesso è un anello che si conchiude in sé: l’ultima frase del libro si interrompe a metà per riallacciarsi alla prima parola, immergendo il lettore in un ciclo infinito, in un letterale «riverrun» (3, 1).

Joyce spinge questo principio fino alle sue estreme conseguenze, creando un «wholemole millwheeling vicociclometer, a tetradomational gazebocroticon […] autokinatonetically preprovided with a clappercoupling smeltingworks exprogressive process» (614-615, 27-30)», intrinsecamente collegato all’immagine della Storia e palesemente modellato sul nome di Vico. Joyce sembra descrivere un immaginario strumento narrativo che macina il tempo e la storia come un mulino in perenne movimento. La sua descrizione, formata da un turbine di neologismi e giochi fonetici, traduce in linguaggio il principio vichiano del ricorso, facendo del testo stesso un ingranaggio della ricorsività ciclica di cui parlava anche Vico (da cui questa singolare macchina prende il nome).

Questa logica permea anche la costruzione dei personaggi. In Finnegans Wake, le identità sono mobili, fantasmagoriche: Shaun si trasforma in Jaun, poi in Yawn, e innumerevoli altre variazioni di se stesso. I protagonisti si sovrappongono, si scambiano di ruolo, vivono e rivivono gli stessi eventi con nomi diversi. Il tempo si contrae e si espande, e ogni figura incarna un destino collettivo, diventando simbolo di un’umanità che si riscopre sempre uguale pur mutando incessantemente. Per questo la storia vichiana ristrutturata da Joyce si configura come «one continuous present tense integument slowly unfolded all marryvoising moodmoulded cyclewheeling history» (185-186, 36-2), ricordando una ruota che gira su se stessa e che, riprendendo e rinnovando i propri motivi, «moves in vicous cicles yet remews the same» (134, 16-17).

Come dimostrano queste citazioni, Joyce non si limita a citare Vico, ma lo assorbe nella propria poetica, facendo della Scienza nuova un fondamentale punto di riferimento per il Wake. Il quale non si legge semplicemente ma si attraversa, si decifra, si vive. L’«exagmination round his factification for incamination of a warping process» (497, 2-3) messa linguisticamente (e stilisticamente) in atto da Joyce diventa così il manifesto di una scrittura in cui storia e finzione, teoria e narrazione, si intrecciano in un ciclo infinito di significati in continua metamorfosi.