La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
“Finnegans Wake”: la «Lingua Mentale comune»
Una delle caratteristiche più notevoli del romanzo sperimentale di Joyce è senza dubbio la sua lingua: essa risponde ad un preciso obiettivo in relazione a cui la filosofia di Vico gioca una parte centrale. Per scrivere Finnegans Wake, Joyce lavora infatti a una sua personale interpretazione della lingua babelica: nella sua universale «joyicity» (414, 23), egli è Jim, «jocosus inkerman militant» (433, 9), «elementator joyclid» (302, 12) che crea un «ghem of all jokes» (193, 9) parlando un «joyfold» (527, 22) «Djoytsch» (485, 13) in cui più lingue si uniscono affastellandosi l’una sull’altra o sviluppandosi l’una nell’altra. Per usare le stesse parole di Joyce, il Wake è un racconto «told in sounds in utter that, in signs so adds to, in universal, in polygluttural, in each auxiliary neutral idiom, sordomutics, florilingua, sheltafocal, flayflutter, a con’s cubane, a pro’s tutute, strassarab, ereperse and anythongue athall» (177, 12-16).
Così come Vico pensava alle parole come fossili linguistici dotati di una storia propria, all’interno di un quadro più grande e articolato, allo stesso modo Joyce tenta di creare parole che contengano in sé la traccia della storia umana, articolata in una storia delle idee che è al contempo una storia etimologica delle parole stesse, reperti linguistici che portano il segno del passato. Il progetto di Joyce realizza nella pratica la Degnità XXII di Vico: «È necessario, che vi sia nella Natura delle cose umane una Lingua Mentale comune a tutte le Nazioni; la quale uniformemente intenda la sostanza delle cose agibili nell’umana vita socievole, e la spieghi con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti possan’aver’esse cose […]. Questa Lingua è propia di questa Scienza; col lume della quale, se i Dotti delle Lingue v’attenderanno, potranno formar’un vocabolario Mentale comune a tutte le lingue articolate diverse morte, e viventi» (I, Degli elementi, SN44ISPF p. 65).
Se per Vico il linguaggio evolveva con la società e ne rifletteva i cambiamenti delle strutture culturali e sociali, nel linguaggio di Finnegans Wake si mescolano insieme più dimensioni linguistiche, creando diverse possibilità di lettura del romanzo. L’estremo sperimentalismo, dato dall’abbondanza di giochi di parole, neologismi e frasi multilingue, porta il testo ad essere più testi allo stesso tempo: è un romanzo complesso e ricco di significati nascosti, ognuno dei quali può avere un senso diverso se letto da una prospettiva linguistica diversa. Per comprenderlo iuxta sua propia principia, bisognerebbe imparare un’utopica lingua babelica in grado di trascendere la Storia e riassumerla in sé: «That ancient tongue to be middle old modern to the minute» (270, 17-18).
Un tale uso del linguaggio richiama da vicino l’idea vichiana secondo cui le parole recano in sé le tracce della storia e dell’evoluzione culturale del genere umano, e l’ambiziosa ricerca di Joyce riecheggia quella vichiana: entrambi intravedono nella parola la sedimentazione del tempo, la traccia di un cammino collettivo in cui il linguaggio non è solo strumento, ma memoria ed eredità culturale. In questa prospettiva, Finnegans Wake non è soltanto un esperimento letterario, ma una sorta di archeologia della lingua, un viaggio nella profondità della storia umana attraverso le sue infinite possibilità espressive.
