La ricezione di Vico e il primo Novecento italiano
“Finnegans Wake”: il «particular universal»
Un altro retaggio della Scienza nuova in Finnegans Wake, strettamente collegato con la «Lingua Mentale comune», sta nella rielaborazione dell’“universale fantastico” di Vico in una chiave narrativa sperimentale, mutando il concetto in un viaggio immaginifico attraverso il “particolare universale”.
Uno degli episodi più emblematici di questa ricezione si trova nel secondo libro del romanzo, dove i gemelli Shem e Shaun, insieme alla sorella Issy, orchestrano una lezione-gioco, sovvertendo il tradizionale rapporto tra maestro e allievo. In questo frammento, la struttura stessa della pagina risente della rivoluzione joyciana: note a piè di pagina e commenti laterali si intrecciano per restituire la simultaneità delle voci, creando un testo stratificato, complesso e irriverente.
Joyce non si limita a citare Vico, ma ne rinnova l’intuizione fondamentale. Secondo Vico, «i primi uomini, come fanciulli del Gener’Umano, non essendo capaci di formar’i generi intelligibili delle cose, ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi, o universali fantastici da ridurvi, come a certi Modelli, o pure ritratti ideali tutte le spezie particolari a ciascun suo genere simiglianti» (I, Degli elementi, SN44ISPF p. 71). Se dunque ogni civiltà modella archetipi che sopravvivono nel tempo, anche per Joyce questa dinamica si traduce in un tessuto linguistico in continua metamorfosi. Il meccanismo dell’«Imaginable itinerary through the particular universal» che i due gemelli impiegano per tenere la loro lezione diventa il cuore pulsante del romanzo: ogni evento, ogni personaggio è al tempo stesso un individuo e l’incarnazione di un destino collettivo, una scheggia di tempo che risuona attraverso le epoche; tramite l’immaginazione, il particolare si connette all’universale riflettendosi in esso.
La lezione dei tre fratelli, fanciulli in un certo senso vichiani, si trasforma così in una riscrittura parodica delle gesta eroiche dell’umanità: il racconto si dilata e si contrae, le identità si sovrappongono, mentre il passato e il presente si sovrappongono l’uno sull’altro. Seguendo il principio vichiano del verum/factum, Joyce eleva il linguaggio a unica realtà tangibile: le parole non descrivono semplicemente il mondo, ma lo creano, in un gioco inesauribile di tropi e metafore.
Questa prospettiva consente a Finnegans Wake di essere al tempo stesso una storia universale e un ritratto intimo e locale: l’Irlanda sognata da Joyce si fa paradigma di ogni terra, il suo popolo diventa il popolo di tutti i tempi. Il linguaggio si fa carne e memoria, portando con sé il segreto della storia e il suo eterno ritorno.
Così come la Discoverta del Vero Omero è la chiave di volta della Scienza nuova, il viaggio joyciano attraverso il “particolare universale” diviene la cifra di un’opera che cela le sue risposte negli enigmi del suo stesso linguaggio. In Finnegans Wake nulla è stabile, tutto si trasforma e si ripete, ma proprio in questa costante mutazione si annida la possibilità di un significato che, come l’onda della storia, torna e ritorna sempre.