Cantieri di Gadda. Il groviglio della totalità

2. Guerra

La cognizione dell’orrore. La guerra del Gaddus.

a cura di Paola Italia


«[...] sotto il fuoco, presente, immediato, provo il tormento che prova ogni animale nel pericolo: ma prima vi è solo il desiderio di fare, di fare qualche cosa per questa porca patria, di elevarmi nella azione, di nobilitare in qualche maniera quel sacco di cenci che il destino vorrebbe fare di me.»

Quando parte militare per la Prima guerra mondiale, il 1° giugno 1915, insieme al fratello minore Enrico (1, 2, 3), Gadda ha ventidue anni e dal 1912 è un giovane nazionalista (4) iscritto al Politecnico di Milano. Educato dalla madre, Adele Lehr, al culto dei classici, al mito risorgimentale e a un «senso militare di disciplina», è sostenuto da un potentissimo ideale, il sogno di «una vivente patria, come nei libri di Livio e di Cesare» (Il castello di Udine), e infiammato dal desiderio di «fare qualche cosa per questa porca patria, di elevarmi nella azione, di nobilitare in qualche maniera quel sacco di cenci che il destino vorrebbe fare di me» (Giornale di guerra e di prigionia). Il conflitto (5), che considera la «quarta guerra per l’indipendenza d’Italia», gli rivela tuttavia la sua inabilità al comando e la mancanza dell’«energia, la severità, la sicurezza di me stesso, proprie dell’uomo che non pensa troppo, che non si macera con mille considerazioni, che non pondera i suoi atti col bilancino, ma che agisce, agisce, agisce a furia di spontaneità e di estrinsecazione volitiva naturalmente eseguita» (Giornale di guerra e di prigionia) (6, 7, 8, 9).

Dopo un lungo periodo nelle retrovie, combatte in Val Camonica, nella battaglia dell’Adamello, sull’Altopiano dei Sette Comuni (10), viene trasferito a Torino per un periodo di addestramento all’uso delle mitragliatrici Saint-Étienne (11), poi è di nuovo sul Carso, dove si guadagna la medaglia di bronzo, a Clodig, sull’Altipiano della Bainsizza e infine a Caporetto, dove la disfatta del 25 ottobre 1917 lo travolge «verso la riva dell’inutilità» (Il castello di Udine).

Sin dall’agosto 1915 comincia a stendere un «giornale di guerra» (12), che, su sollecitazione di Alessandro Bonsanti, l’amico che lo avrebbe introdotto nei circoli letterari fiorentini, pubblicherà solo parzialmente nel 1955 (da Sansoni) (13) e, dopo una travagliatissima storia editoriale, nel 1965 (da Einaudi) (14), vivendo la contraddizione tra il desiderio di testimoniare la propria esperienza e la rimozione e la vergogna del reduce. Il 25 ottobre 1917 segna anche la seconda fase della stesura del diario. Gadda viene tradotto inizialmente a Rastatt, dove sperimenta la fame «terribile», «tremenda», «serpentesca», alleviata dagli invii dei pacchi alimentari della famiglia attraverso la Croce Rossa (15): una situazione di abbrutimento che cerca di combattere con la lettura, lo studio del tedesco, la scrittura dei suoi quaderni e di un Memoriale «della battaglia dell’Isonzo e della […] cattura, raccolti pro-memoria, in caso di accuse» (Giornale di guerra e di prigionia).

Dal 29 marzo 1918 alla liberazione è detenuto nel campo di concentramento di Celle, nell’Hannover, nella Baracca 15c, detta «dei poeti», (16) dove condivide la prigionia con Ugo Betti (17) e Bonaventura Tecchi (18), che saranno i primi lettori dei suoi diari e dei suoi esperimenti letterari – come il racconto “giallo” La passeggiata autunnale, o le inedite traduzioni di Heine (19) – e che lo inseriranno nel mondo delle riviste fiorentine “Solaria” e “Letteratura”. Le letture e le feconde discussioni lasceranno sul giovane «poeta-filosofo-soldato-matematico» (Giornale di guerra e di prigionia) un segno indelebile.

Ancora più drammatico, però, è il ritorno in patria, nel gennaio 1919, segnato dalla scoperta della morte, in un incidente d’aviazione che gli era stato pietosamente nascosto durante tutta la prigionia, di Enrico (20), alter ego volitivo ed energico, «la parte migliore e più cara di me stesso», al cui ricordo si voterà tutta la famiglia (21, 22). Nonostante la profonda crisi, seguita al «più orrendo dolore della mia vita, quello che ha superato per l’intensità il tragico 25 ottobre 1917, che si è fuso con questo in una sola onda di atroce agonia», la scrittura del Giornale proseguirà fino alla fine del 1919, quando, ridotto a un «automa sopravvissuto a sé stesso», deciderà di terminare il suo «libro di note», dando avvio, contemporaneamente, alla sua avventura di scrittore.


2.1 Bauletto in legno di Enrico Gadda

Il bauletto in legno con targa in ottone «Enrico Gadda | V° Alpini» viene donato ad Alessandro Bonsanti con gli scarponi, l’elmetto in cuoio, gli occhiali militari da riverbero, un portaproiettili in cuoio, uno zaino in tela e 17 proiettili in rame esplosi, lettere e documenti alla fine del 1940, quando, ottenuto il primo impiego (non ingegneresco) alla RAI, Gadda lascia Firenze per trasferirsi a Roma. Conservate in alcune casse allogate provvisoriamente nei sotterranei del Gabinetto G. P. Vieusseux, le carte di Gadda vengono travolte (con gran parte dei libri del deposito) dall’alluvione del 4 novembre 1966, e, dopo un lungo lavoro di restauro condotto dal Laboratorio dell’Archivio Contemporaneo A. Bonsanti, recuperate e catalogate nei primi anni Duemila, andando a costituire un Fondo di più di diecimila pezzi, dalla seconda metà dell’Ottocento al primi anni Quaranta, di cui due terzi recuperati alla lettura.

2.2 Scarponi di Enrico Gadda

Nel primo anno di guerra, mentre Gadda ha inoltrato domanda per essere inviato al fronte come volontario («Oh! Se potessi esser messo nel tuo battaglione e venirti a trovare!»), Enrico, dopo un breve periodo di addestramento, è già stato mandato al Tonale. Carlo gli scrive da Longone, durante una breve licenza, avvisandolo – il 4 luglio 1915 – dell’invio di un paio di scarponi chiodati, fatti fare su misura a Lecco: «Noi vorremmo che tu ricevessi presto le scarpe, che ti abbiam fatte fare dall’Anghileri, tipo «alta montagna», e che speriamo siano robuste e perfettamente impermeabili. Esse sono robustamente chiodate, hanno la soprappunta, una corona di zappette di ferro intorno che rimontano sul bordo, ecc. – Dentro vi sono sottosuole di sughero, stringhe di cuoio, e grasso. Ti prego di dirci se vanno bene e se rispondono a questi requisiti, poiché noi non le abbiamo viste, avendole fatte spedire direttamente da Lecco» (Carte recuperate dal Fondo Carlo Emilio Gadda).

2.3 Portaproiettili in cuoio di Enrico Gadda

Nato il 16 novembre 1896, quasi tre anni dopo Carlo Emilio, Enrico Gadda è il suo alter ego: estroverso e solare laddove il fratello maggiore è introverso e malinconico, dotto di un’ironia naturale e spontanea laddove la satira di Carlo è animata piuttosto dal «risentimento» e dalla «polemica», donnaiolo e spendaccione a fronte della ritenutezza sentimentale ed economica dell’ingegnere, divenuta presto leggendaria. Nel Fondo Gadda dell’Archivio Contemporaneo A. Bonsanti si conserva un frammento del suo diario di guerra del 9-12 giugno 1915 (Carte recuperate dal Fondo Carlo Emilio Gadda); anche le sue lettere, solo in parte edite, sono degne (e a volte più scoppiettanti) della prosa del fratello: «Quest’anno finisco a passare in rivista le più ridenti vallate nostre. Capisco che il riso è un poco velato di sangue e un poco soffocato dal pianto lontano di madri e sorelle e spose: capisco che ove erano i fuochi allegri dei pastori sono le incerte luci dei riflettori, o le fiammate dei proiettili, ma non per questo è meno bello il panorama. Anzi si gode il doppio la regione, nel doverla contrastare a passo a passo, nel doverla ammirare dall’immobilità di posti di guardia» (La guerra di Gadda).

2.4 Tesserino della Federazione Nazionale Studentesca

Quando scoppia la Prima guerra mondiale i fratelli Gadda sono iscritti al Politecnico – Carlo Emilio dal 1912, Enrico dal novembre 1914 –, e come molti amici e compagni, sono attratti dal movimento interventista, ben radicato nell’ambiente universitario milanese. Già dal 27 marzo 1915 Gadda fa domanda per essere arruolato come ufficiale nella milizia territoriale degli Alpini, e in maggio – con il cugino Emilio Fornasini e l’amico Luigi Semenza – scrive un appello a Gabriele D’Annunzio per protestare contro il decreto ministeriale che impediva l’arruolamento immediato degli universitari e invia una lettera aperta al «Popolo d’Italia», fondato l’anno precedente da Mussolini dopo l’espulsione dall’«Avanti», rivendicando il «sacro diritto» alla «reale partecipazione alla guerra». «Quel cane interventista d’un Gaddus, dirà qualche furbo studioso, spesato de formaggio e fichi secchi […] per annà in piazza a picchiar la questura de Giolitti, quel bojaccio, quello schifo, quel pederasta, quel fottut’in culo, il giorno 21 gennaio 1916 magnava ’e pappardelle alla mensa dioboia» (Lettere agli amici milanesi).

2.5 Licenza invernale dal 2 febbraio 1916 al 17 febbraio 1916 5.° Reggimento Alpini Magazzino di Edolo - Distretto militare di Milano

«Edolo, 29.1.1916. | Carissimo Ambrogio, i miei esami sono finiti, la brigata Cuneo mi ha licenziato, ed eccomi a Edolo, in attesa di destinazione. La mia precisa situazione è la seguente: aggregato al battaglione Edolo, in Edolo […] con possibilità di andare presto in licenza, ma non sicuro se questa mi sarà concessa dal deposito del battaglione o dalla compagnia a cui verrò destinato. Stefano et similia sono aggregati all’8° Batt. M.T. in Edolo, pure in attesa di promozione e destinazione. Spero ti sia giunta la mia lettera di scuse col mio baromanzo: del Semenza nulla so: di Meco non parliamone. Sono orribilmente depresso, solo (Stefano mi ha abbandonato e, incontrandomi, mi “maltratta”) e anelo di andare in compagnia, spero in uno dei reggimenti orientali. Tuo Gaddus» (Lettere agli amici milanesi).

2.6 Carte manoscritte

L’impegno che Gadda profonde in guerra, assolvendo, con esattezza e precisione assoluti, ai compiti cui viene destinato, è pari alla fede patriottica e alla vocazione ingegneresca e inversamente proporzionale all’attitudine al comando: «Non mi mancano certo le doti intellettuali d’un ufficiale: preparazione tecnica, spirito di fervente disciplina (i giudizî poco benevoli verso i superiori sono chiusi in questo diario come in una tomba) ecc.; ma mi manca l’autorità nell’enunciare i miei giudizî e nel farli accettare alle menti primitive di questi uomini, appunto perché l’abito critico m’ha avvezzo a non affermare mai nulla con certezza assoluta: e invece per parlare a costoro occorre precisamente la sicurezza di parola dell’autoadoratore. Mi manca l’energia, la severità, la sicurezza di me stesso, proprie dell’uomo che non pensa troppo, che non si macera con mille considerazioni, che non pondera i suoi atti col bilancino, ma che agisce, agisce, agisce a furia di spontaneità e di estrinsecazione volitiva naturalmente eseguita» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.7 Cartina «Canove. Settembre 1916».

Grazie all’addestramento al disegno tecnico, svolto al Politecnico di Milano nelle lunghe esercitazioni dei primi anni, Gadda sviluppa una particolare abilità nella rappresentazione figurativa, che diventerà nel tempo una forma di conoscenza del reale, ben documentata dai quaderni della Meditazione milanese (1928). Lo testimoniano i disegni che accompagnano il Giornale di guerra e di prigionia, soprattutto il Quaderno GC1R di istruzione sull’uso delle mitragliatrici modello Saint-Étienne, ma anche le cartine che realizza al fronte, come questa, ricavata – come dichiara la nota manoscritta – dalla «carta 1:25.000» dell’Istituto Geografico Militare, della «zona di fuoco delle mie mitragliatrici a Canòve», dove, alla dettagliata “descrizione”, illustrata analiticamente dalla legenda dei «Segni convenzionali», si accompagna, come di consueto, un “autocommento”: «L’andamento delle trincee e dei camminamenti nemici, nel tratto individuabile sulla carta, (data la distanza a cui eseguivo le osservazioni e l’immobilità durante la luce) è segnato approssimativamente»; ogni rappresentazione della realtà è provvisoria e parziale.

2.8 Biglietto propagandistico

La doppia milizia, per terra e nel cielo, dei fratelli Gadda, è seguita con intensa partecipazione da casa, in una fitta serie di lettere – solo da poco pubblicate – inviate a entrambi dalla madre, Adele Lehr, e dalla sorella Clara, in cui si alternano trepidazione e patriottismo: «Non so che farei, pur di sapere vostre notizie in quest’istante. I voti maggiori, più fervidi, ardenti s’innalzano nel mio cuore per voi continui, senza tregua, poiché è senza tregua il pericolo che vi sovrasta. E non poter far nulla per voi, dover rimanere inerti in un’attesa terribile! Speriamo che l’ora sacra e fatidica suoni per gli Italiani; ma quale straziante contrasto per l’animo mio l’esultanza per la vittoria nostra e il pensiero del terribile pericolo a cui tu e Carlo siete esposti! È un martirio indicibile. La mamma ha neppur la forza di scrivervi; la zia condivide le nostre ansie» (La guerra di Gadda).

2.9 Gadda in divisa

«Aveva ora le mani congiunte sotto il ventre, come sogliono tenerle i monaci, le dita tra le dita, quasi pregasse, bianche, lunghe, un po’ ingrossate alle nocchie: inesperte, era chiaro, d’ogni meccanica, o motore, o pompa, o sporca fatica. Il viso triste, un po’ bambinesco, con occhi velati e pieni di tristezza, col naso prominente e carnoso come d’un animale di fuorivia (che fosse tra il canguro e il tapiro), si rivolse di là dal muretto di cinta verso la montagna, e l’azzurro oltremonte: forse, di là, i cieli e gli eremi, e nulla» (La cognizione del dolore).

«Ringrazio Dio con l’anima, d’avermi dato questo soccorso nell’orrore; di non aver voluto aggiungere alla sventura il martirio della “compagnia malvagia e scempia”, che tanto mi gravò le spalle nella mia vita militare; d’avermi dato il conforto di compagni buoni, onesti, intelligenti, sani, il cui ricordo non mi sarà doloroso ed amaro; le loro varie buone qualità, che in alcuni sono ferme virtù, mi conducono anche ad umiliarmi della mia ignavia, della mia debolezza contro il dolore, della mia meschinità fisica, della mia ipersensibilità, del mio chiuso orgoglio. D’altra parte mi cresce l’odio livido, immoderato, senza fine in eterno, contro i cani assassini che hanno consegnato al nemico tanta parte della patria, tanti dei loro, tanti anni della nostra vita: contro quei cani porci con cui mi fu d’uopo litigare in treno, negli orrendi giorni del primo novembre, affinché non cantassero, mentre i tedeschi invadevano il Veneto, che essi avevan loro messo nelle mani» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.11 Règlement sur les sections de mitrailleuses d’infanterie, Paris, Fournier, 1915

Tra il 26 maggio e il giugno del 1916, Gadda, dopo avere atteso invano di essere destinato a un reparto operativo, viene inviato a Torino per un periodo di addestramento all’uso della mitragliatrice di marca francese Saint-Étienne. Riprende il Giornale di Campagna, «intralasciato» a Edolo, in un nuovo quaderno (pubblicato solo nel 2023), tutto dedicato a questo «nuovo periodo della sua vita militare»: «Rinnovo le mie note in un tempo triste della nostra milizia […] sono lieto dell’incarico affidatomi, ma triste e inquieto, amareggiato e irritato per le sorti della nostra guerra […]. Mentre le truppe con martirio ed eroismo perenne precludono al nemico le vie d’Italia e demoliscono una dopo l’altra le posizioni nemiche, i comandi chiacchierano, stampano circolari sul modo di portare la mantellina, fanno i più orrendi pasticci, commettono i più banali errori di organizzazione e perdono la guerra» (Giornale di guerra e di prigionia). Ricorderà in prigionia: «Oh, miei vecchî soldati, miei giovanissimi compagni, quali divini momenti abbiamo vissuto insieme! Il resto della lurida vita non significa nulla. Noi chiacchieravamo e ridevamo presso la nostra mitragliatrice, presso i compagni morti» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.12 Giornale di campagna

Testimone dei primissimi mesi della milizia gaddiana, dall’agosto 1915 al febbraio 1916, il Giornale di campagna viene “scoperto” da Gadda solo negli anni Sessanta e pubblicato da Einaudi nel 1965, dopo una travagliatissima storia editoriale: «... nei rapporti di lavoro con il dott. Giancarlo Roscioni, in occasione della mostra dei miei manoscritti e libri curata presso la Sua libreria in Roma, gli consegnai un quaderno manoscritto, contenente appunti personali riservati e di carattere strettamente mnemonico in forma di diario […]. Il dott. Roscioni mi propose che detti appunti fossero premessi e in certo senso incorporati al testo del mio “Giornale di guerra e di prigionia” di prossima pubblicazione presso la Sua Casa ... Io avevo in un primo momento aderito, in linea di massima, alla iniziativa, riservandomi peraltro di riconsiderare la questione. Per ragioni tematiche […] e per ragioni di carattere strettamente personale […] ho dovuto prendere la decisione di rinunciare alla pubblicazione del suddetto mio quaderno» (Lettere a Einaudi). Trascritto da Roscioni prima che Gadda si autocensurasse con forbici e inchiostro, viene pubblicato integralmente da Dante Isella nel 1992 e poi nell’edizione Adelphi del 2023.

2.13 Giornale di guerra e di prigionia, Firenze, Sansoni, 1955

Combattuto tra il desiderio di testimoniare la propria «milizia» e l’esigenza di non rendere pubblico il documento di una guerra che avrebbe voluto combattere tutta in trincea, e non nella «vita fangosa» delle retrovie, nel 1955 Gadda cede alle pressioni dell’amico Alessandro Bonsanti, che sin dagli anni Venti lo aveva inserito nel mondo letterario fiorentino, e acconsente a pubblicare da Sansoni alcuni dei suoi diari di guerra e prigionia, in edizione rigorosamente fedele all’originale: «Sto rivedendo le bozze e le rivede anche il diligentissimo e filologicamente espertissimo Romanò, molto amichevolmente. Io propenderei a lasciare il testo com’è, senza ritocco altro che gli evidenti refusi di scrittura (p.e. morto per morbo, 1918 per 1917) o di lettura del manoscritto» (Lettere a Bonsanti). Nonostante Ugo Betti fosse prematuramente mancato il 9 giugno 1953, Gadda dedica il volume a Bonaventura Tecchi: «ricordando la sua fermezza nei giorni difficili».

2.14 Giornale di guerra e di prigionia, Torino, Einaudi, 1965

Dopo avere richiesto il ritiro delle copie dell’edizione Sansoni e dopo un travagliato iter editoriale, Gadda, con l’ausilio di Gian Carlo Roscioni, pubblica una nuova edizione del Giornale, arricchita di quaderni inediti che provvede a censurare. La copertina, che reca un Caino e Abele di Anonimo caravaggesco, rinnova il trauma di una guerra e di una scrittura fratricide. Scriverà Eugenio Montale, recensendo il Giornale sul «Corriere della Sera” il 29 agosto 1965: «Bisogna essere stati in trincea sotto il fuoco nemico anche per un minor numero di mesi (è il mio caso personale) per rendersi conto della maniaca fedeltà delle sue osservazioni e del feroce senso di autopunizione, sorto qua e là a castigare il giovanile orgoglio di un ventitreenne studente del Politecnico che ha voluto combattere per un insieme di ragioni conscie e inconscie (il suo «patriottismo”) oggi incomprensibili a chi non le abbia provate, ma quarant’anni fa ben note ai giovani migliori».

2.15 Ricevute di pacchi alimentari spediti dalla famiglia Gadda e dalla Croce Rossa Italiana

Fatto prigioniero a Caporetto il 25 ottobre 1917, Gadda viene portato nel Lager di Rastatt nel Baden-Württemberg, dove arriva il 5 novembre e viene tradotto, insieme ad altri ufficiali, il 18 dicembre, nella fortezza di Rastatt: «pare la prigione del Conte Ugolino, la classica prigione delle storie. – Il cibo è il solito, la fame orrenda»; «Oggi mi son divorato come una belva 5 marchi di quei biscottini, cioè 20 biscottini: li trangugiai un po’ a un’ora un po’ a un’altra senza neppure sentirli. – Divorai inoltre due panini che mi diede Cola; la mia fame è insaziabile, serpentesca, cannibalesca. Raccolgo da terra la buccia, la briciola; trangugio la resca di merluzzo. – Nell’abbrutimento però la mia patria e la mia famiglia sono però vive nel mio cuore. Il passato, la mia infanzia, tutte le più piccole e fuggitive immagini mi rivivono nell’anima con una intensità spaventosa, dantescamente. – Rastatt; 21 dicembre 1917.– Ore 20». Riuscirà a sopravvivere grazie ai pacchi spediti dalla famiglia: «Mi sono giunti dei pacchi: tre di indumenti e uno di pane e uno di viveri. Grande gioia nel riceverli» (tutte le citazioni provengono dal Giornale di guerra e di prigionia).

2.16 Disegni di Nonni

«Una questione che ha suscitato suono di dibattiti e chiacchiere in questi giorni è stata quella dei disegni di Nonni: settanta tavole a matita, riproducenti scene di Cellelager, temporum doloris. Il Generale Fochetti ha proposto di pubblicarle in un album, corredato di notizie sulla nostra vita di prigionieri; la redazione della materia scritta sarebbe stata fatta da Villetti e Ceccarelli, due giornalisti letterati romani, già pratici di pubblicazioni. L’edizione doveva esser fatta coi ventunmila marchi raccolti a favore dei mutilati. Il ricavato della vendita, aumentato del probabile guadagno, sarebbe tornato ai mutilati. In più si avrebbe avuto il vantaggio di un ricordo artistico per noi e della doverosa propaganda antitedesca. – Dopo molti piati e discordie italiane di tutti i generi, in nome dell’arte, e di qui e di là; dopo maligne insinuazioni, rabbie, malumori, ecc. (quadro della vera ed autentica «Concordia italiana”), Nonni decise di pubblicar le sue tavole per conto suo, con una prefazione di Tecchi, e di devolverne il ricavato al fondo dei mutilati. – Io, Carlo Emilio Gadda, appoggio qualunque progetto; meglio far male che non fare. – […] Cellelager, Baracca 15. 3 dicembre 1918. Ore 15-16» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.17 Ugo Betti, Il re pensieroso, Milano, Treves, 1922 e recensione di Gadda

Ugo Betti, nato a Camerino un anno prima di Gadda, nel 1892, è con Tecchi l’altro amico della «baracca dei poeti» di Cellelager. «Serio, alto, pallido, Betti rientrava, “subtilis atque elegans atque disertus puer”. Si levava il cappotto, riponeva qualcosa, libro o fascicolo, sotto il suo “materasso”. Non si sapeva che cosa [...] “Io sono un dio”, diceva crudelmente Ugo. “Stamane non mi hai salutato!” “Chiedimi subito perdono! Adora il mio piede sinistro!”, e protendeva la gamba ed il piede, come per il bacio della pantòfola. “Adóralo subito! adóralo tre vòlte! […] la sua natura apollinea, dopo colazione, si traduceva a volte nella calma fermissima dell’ufficiale d’alto ritegno, pàllido e senza sorriso; artiglieria da campagna; a volte si spampanava nella truculenza allegra del barbiere-ginnasta in vena d’esibire i muscoli: gargarizzava un’aria, un accenno. Lodava il Regio; e la intelligente città di Camerino, sua patria, e la intelligente città di Parma, sua patria seconda» (Il castello di Udine).

2.18 Bonaventura Tecchi, Baracca 15c, Milano, Bompiani, 1961

Catturato, come Gadda, dopo la disfatta di Caporetto, e suo compagno di prigionia sin dai primi mesi del 1918 a Rastatt, Bonaventura Tecchi da Bagnorea (1896-1968) viene internato nella Baracca 15c dell’Offiziergefangenlager di Celle, a cui più tardi dedicherà un volume di ricordi di guerra (Baracca 15c, Milano, Bompiani, 1960), che Gadda possiede in una copia annotata. «Dopo Sciajno viene Tecchi, (faccio il giro dei posti); Bonaventura Tecchi, magro, nervoso, dagli occhiali, ora un po’ malato; è un signore del Lazio, al confine umbro: Bonaventura da Bagnorea. Come il suo grande omonimo e concittadino, ch’io venero nel 12.° del Paradiso con fervore immenso, è una volontà e un ingegno di prim’ordine, splendido esemplare della nostra stirpe dov’essa è migliore; e un animo oltremodo puro ed onesto. Volontario di guerra, volontario in fanteria e sul Carso, volontario sul Col di Lana, volontario dopo esser stato esentato, ha due medaglie e tre ferite e mi eguaglia nell’ardore per la guerra; mi supera certo per merito e per quello che si chiama lo “stato di servizio.” Giudizio maturo, fermo, sicurissimo, in una età in cui sono rare queste qualità così nobili; è del ’96» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.19 Heinrich Heine, Buch der Lieder; Neue Gedichte, a cura di O.F. Lachmann. Leipzig, Reclam, s.d.

Nella «baracca dei poeti», Gadda si cimenta anche in alcune traduzioni – ancora inedite – da Heine: «2 gennajo 1919. – Pomeriggio. Hanau presso il Meno. – Stazione Est. – Da un vagone del treno. – Il giorno 30 ci diedero un altro pacco della Croce Rossa Inglese. – Da Terzi, che andò a Celle, mi feci comperare un libro, egli scelse le opere del Novalis, per regalare a Gerundo Gennaro che m’aiutò nella mia vertenza con Nugari. La sera Terzi mi raccontò alcuni episodî della sua vigile sensualità, che durante il giorno le donne di Celle avevano risvegliato. Poi andai da Gerundo, che gradì il dono. Il giorno dei 31 dicembre andai a Celle con Silva e Corsanego e vi spesi parecchî soldi, anche perché comperai una raccolta delle opere di E. Heine, (M. 38,50) per Clara» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.20 Enrico Gadda

Gadda apprenderà della morte del fratello solo al ritorno a Milano, il 14 gennaio 1919: «Alle 7 circa arrivo in carrozzella a casa. È buio. Busso in portineria; su, suono il campanello. – Mamma, mamma; e Clara. Erano a letto; vennero ad aprirmi ci abbracciamo tanto! Poi seguo la mamma, che s’è rimessa a letto, l’abbraccio nuovamente. “Ed Enrico dov’è, come sta Enrico” Mi risponde piangendo la mamma: “Enrico è andato di quà, di là...” La tragica orribile vita. Non voglio più scrivere; ricordo troppo. Automatismo esteriore e senso della mia stessa morte: speriamo passi presto tutta la vita. Condizioni morali e mentali disastrose: Caporetto, gli aereoplani, Enrico, immaginazioni demenziali. – È troppo, è troppo. – […] Enrico tu non eri il mio fratello, ma la parte migliore e più cara di me stesso. – Non so come fare a vivere» (Giornale di guerra e di prigionia).

2.21 Ditta Porroni, Ricevuta di lavori per messa in opera della tomba di Enrico 14 settembre 1925

Il 10 settembre 1925 Adele fa richiesta al sindaco di Longone di due lapidi commemorative da mettere sulle tombe di Francesco ed Enrico: «La sottoscritta Adele Lehr vedova Gadda, anche a nome dei propri figli Ing.re Carlo Emilio Gadda e Dott.ssa Clara Gadda, chiede alla S.V. Ill.ma il permesso di collocare sulla tomba che richiude le spoglie dei cari defunti Francesco Gadda e Enrico Gadda Ingegnere ad Honorem, Tenente Pilota Aviatore […] un monumento recante le seguenti iscrizioni […]:


Accogli, o Signore e consola

Francesco Gadda

Nobile, operoso, puro.-

Vive egli anche fra noi.

Milano 12-V-1838

Longone 20-VIII-1909

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Enrico Gadda

Accogli o Eterno,

Nella luce degli Eroi.–

Consacrata l’Alta Anima

Ai Doveri Supremi

Ci lasci. Fanciullo

E sorridendo volle

Il suo Fato.- Alpino

Volontario di Guerra

Nel 15-16- Pilota Aviatore

Nel 17-18- Decorato

Di Medaglia di Bronzo e d’Argento

Al Valore Militare

Cadde il 23-IV-1918

In volo di Guerra.»


(Carte recuperate dal Fondo Carlo Emilio Gadda)

2.22 Carta manoscritta con abbozzi di esametri per la lapide di Enrico

«Non invidiava a nessuno. Forse, dopo tanto valore e studio, dopo d’aver faticato e patito, e aver dato senza lacrime la sua genitura, perché ne disponessero, gli strateghi della Repubblica, del suo sangue più bello!, secondo ragione loro comandava; forse dopo l’infuocato precipitare d’ogni giorno, e degli anni, stanche ellissi, forse aveva ragione il tempo: lieve suasore d’ogni rinuncia: oh! l’avrebbe condotta dove si dimentica e si è dimenticati, oltre le case ed i muri, lungo il sentiero aspettato dai cipressi. Prole rustica, leva del perenne pane: crescesser